La Stampa pag.14 · 27-02-2025

 

Bollette, piano del governo in due tempi Tre mesi di bonus e misure a lungo raggio (P.Baroni)

 

Domani il Cdm vara il decreto dopo lo stop di Meloni Anche l'Europa si muove contro il caro energia: to ieri che già da quest'anno per i 27 dovrebbe fruttare 45 miliardi di euro di risparmi destinati poi a salire a 260 miliardi entro il 2040 grazie alla riduzione delle tasse su luce e gas e ad acquisiti comuni. Ieri sera a palazzo Chigi si è svolto un nuovo incontro tecnico per fare il punto della situazione presenti il sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano, il titolare del Mase Pichetto e il ministro degli Affari europei Tommaso Foti, oltre a tecnici dei vari dicasteri e della Ragioneria. Collegato a distanza il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, in questi giorni a Cape Town per il G20.
Finora sono state individuate coperture per circa 2,9 miliardi di euro, ma come ha ricordato ieri il capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera, Galeazzo Bignami, «il premier Meloni ha chiesto maggiori risorse» per poter mettere in atto interventi «più efficaci» soprattutto a favore delle famiglie più bisognose. Stando a fonti del Mef però è difficile si possa mettere sul piatto coperture aggiuntive e per questo attraverso varie ipotesi si sta cercando di concentrare il più possibile le risorse nel breve "Dal Clean industrial deal risparmi da 45 miliardi" Ma, come ha ricordato Foti, la partita è complessa e per procedere occorre acquisire prima l'ok di Bruxelles. L'attenzione delle forze di maggioranza su questo dossier in questo periodo è posta nel rendere le nuove misure il più efficaci possibile. Anziché i sei mesi del programma iniziale il decreto riscritto potrebbe avere così una validità di tre mesi, almeno in alcune sue parti, contando che poi con l'estate ed una prospettiva di possibile pace tra Russia e Ucraina renda più sereno l'orizzonte finendo per abbassare le quotazioni come è già avvenuto ieri sul mercato di Amsterdam dove i prezzi del gas sono scesi di colpo del 6,7% a quota 41,34 euro grazie all'annuncio dell'intesa Usa-Ucraina sulle terre rare. Oltre a questo, però, in parallelo il governo lavora anche su iniziative di medio-lungo periodo per efficientare il sistema nel suo complesso. La misura principale allo studio resta comunque legata al bonus sociale, che in prima battuta si voleva portare dall'attuale soglia Isee di 9.530 euro a 15 mila euro e che ora potrebbe salire ulteriormente sino a quota 20 mila euro a beneficio di oltre 7 milioni di famiglie. Una parte delle risorse, come suggeriva nei mesi scorsi il Pd potrebbe arrivare dalla proroga delle concessioni elettriche, passate con l'ultima legge di Bilancio da 40 a 20 anni. PAOLO BARONI ROMA 1- 1 lavoro sul decreto bollette il lavoro «procede, tra oggi e domani vediamo. Sono estremamente omertoso» ha dichiarato ieri mattina il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, aggiungendo poi che questo è un «momento particolare per il nostro Paese, per questo è necessaria la massima attenzione e il massimo dello sforzo sociale nei confronti dei cittadini e nell'accompagnare le imprese anche perché in ballo c'è la competitività del Paese».
Quella che si profila è una manovra in due tempi: subito un intervento forte, concentrato sul breve periodo soprattutto a sostegno delle famiglie, affiancato da misure efficaci più sul lungo periodo. In vista del Consiglio dei ministri di domattina, chiamato a varare il nuovo decreto bollette dopo lo stop imposto lunedì da Giorgia Meloni, i ministri ed i loro tecnici sono al lavoro sul nuovo testo. Intanto si muove Bruxelles annunciando un nuovo piano per l'energia a prezzi accessibili inserito nel Clean industrial deal presentato resta molto alta. Ma sono forti anche le pressioni esterne, dei sindacati, delle associazioni dei consumatori, delle imprese e degli operatori del settore. Il presidente di Confapi, Cristian Camisa, ha ricordato che finora sono state privilegiate le imprese energivore e che «in questo modo le Pmi industriali e tutto quel settore della trasformazione su cui poggia l'economia del Paese sono state lasciate per strada». Per questo ora si aspetta «una svolta, misure strutturali che promuovano l'autoproduzione di energia da parte delle aziende e non altre misure spot». Dal fronte dei produttori si è invece fatto sentire l'amministratore delegato di Edison Nicola Monti, secondo cui «è corretto che il governo si preoccupi del caro bollette. Dopodiché - ha avvertito il manager - bisogna trovare dei meccanismi che non vadano a toccare il funzionamento del mercato europeo e non penalizzino i produttori». Trovare una quadra che vada bene a tutti, insomma, non sarà facile. Gilberto Pichetto Fratin Massima attenzione e massimo sforzo nei confronti dei cittadini e delle imprese: in ballo c'è la competitività del nostro Paese 3 Miliardi: i risparmi attesi quest'anno con il piano Ue per l'energia, a prezzi accessibili 7 Milioni di famiglie potrebbero avere incentivi se la soglia Isee salisse a 20 mila euro La partita è complessa per procedere occorre avere l'ok di Bruxelles A chiedere di agire sono sindacati, operatori e associazioni di categoria.

 

L'Economia - Corriere della Sera · 04-11-2024

 

L'ALLERTA DEI PICCOLI, IN SALITA LA STRADA PER TRANSIZIONE 5.0

 

Il 58% degli imprenditori non è interessato a investire in questa direzione, secondo lo studio di Confapi: troppe complessità e target irraggiungibili tra le ragioni degli scoraggiati di ISIDORO TROVATO Il sistema delle Piccole e medie imprese italiane regge, produce ed esporta ma non trascura i segnali di difficoltà che nascono da carenza di manodopera qualificata, difficile accesso al credito e farraginoso percorso verso « Transizione 5.0». Questo è lo scenario che emerge dall'ultima indagine congiunturale di Confapi condotta attraverso interviste mirate ad un campione di 2mila imprese dislocate sull'intero territorio nazionale.
Lo studio evidenzia che nel primo semestre del 2024, il 39,37% delle imprese intervistate ha registrato un incremento della percentuale di produzione che rimane un fattore determinante per la crescita del nostro sistema industriale. Molto più complessa è l'analisi sul fatturato delle piccole e medie imprese: il 42,65% delle aziende ha registrato un incremento dei volumi, il 35,54% ne ha registrato invece una diminuzione. Una vera e propria spaccatura tra chi ha saputo superare il guado creato da inflazione e calo dei consumi e chi invece vive ancora una congiuntura complicata.
Tra gli investimenti realizzati, il 62,92% ha impiegato risorse per l'acquisto di beni materiali nuovi. Di questi, il 30,46% su impianti legati alle nuove tecnologie digitali di Industria 4.o mentre i162,25% in altri impianti, attrezzature e macchinari. La finalità di tali investimenti materiali è per il 66,23% in sostituzione di impianti o macchine ormai obsolete e per un 45,03% per progetti di ampliamento. In un simile contesto, diventa interessante il grado di interesse delle Pmi italiane agli investimenti in Transizione 5.0. I158,10% degli intervistati dichiara di non essere interessato ad effettuare investimenti in tal senso, a fronte di un 41,90% degli imprenditori che invece è interessato agli investimenti Transizione 5.o. «Non sono poche le difficoltà riscontrate - spiega il presidente di Confapi, Cristian Camisa - tra coloro che stanno realizzando investimenti legati alla Transizione 5.o e coloro che stanno procedendo alla realizzazione, la maggior parte degli imprenditori ritiene che la normativa sia poco chiara, poi c'è chi segnala procedure troppo complesse e troppo onerose, infine c'è una buona fetta di imprenditori che ritiene che il target da raggiungere per l'efficientamento energetico sia troppo elevato. Rimane però importante l'esistenza di una simile misura per una transizione davvero essenziale per il nostro sistema industriale, a patto che sia più facilmente raggiungibile da parte delle imprese». A trainare l'economia delle Pmi in questo 2024 è sicuramente il mercato interno: il 38,18% dichiara di aver incrementato il proprio fatturato dentro i confini nazionali e di questi, il 28,33%, riferisce incrementi sino al 10%. Però l'export rimane sempre un motore acceso della nostra economia, al punto che il 39,31% degli intervistati dichiara di aver esportato direttamente, mentre il 12,29% segnala invece di non aver esportato ma comunque ritiene che le proprie lavorazioni arrivino sui mercati esteri tramite clienti italiani.
Qualche preoccupazione in più arriva dal comparto automotive che segna il passo da troppo tempo. «Ribadiamo la nostra proposta - sottolinea Camisa - l'ingresso dello Stato nel capitale di Stellantis come già fatto dal governo francese. Abbiamo bisogno del comparto automotive per rimanere competitivi. Le nostre esportazioni sono rimaste sui livelli dello scorso anno nonostante la crisi geopolitica ed è già un grande risultato. Abbiamo una straordinaria strategia di sistema come mai avevo visto in passato, abbiamo grandi potenzialità di crescita malgrado i conflitti in corso. Ma abbiamo anche bisogno di mantenere attivi comparti cruciali come l'automotive e il suo indotto». Altro problema evidente è quello della manodopera. «Facciamo sempre più fatica a trovarne di specializzata - precisa il presidente di Confapi - serve una formazione professionale di più alto livello e un costo del lavoro più basso per poter retribuire meglio i giovani talenti ed evitare che vadano via dall'Italia.
Chiediamo di detassare gli straordinari per tenere alta la produttività e premiare meglio i lavoratori. Infine evidenziamo la necessità di creare un percorso virtuoso di welfare per aiutare i dipendenti ad avere figli e poi continuare ad aiutarli con i servizi per le famiglie. Si tratta di misure essenziali se vogliamo trattenere i giovani e mantenere alto il livello di competitività della nostra economia». Le prospettive Le aspettative delle Pmi su produzione, ordini e fatturato nel secondo semestre 2024 Stabile - 42,25%_L_ 41,19% In calo 40,8% In aumento 16,95% Gli sbocchi Le previsioni di fatturato nelle differenti aree geografiche nel secondo semestre 2024 In calo III Stabile.
In aumento In calo 40,23% In aumento 21,84% In calo 38,35% Extra Ue L'analisi È stato condotto attraverso interviste mirate ad un campione di 2 mila imprese aderenti al sistema Confapi dislocate sull'intero territorio nazionale. Il campione è costituito prevalentemente da industrie manifatturiere dei settori della meccanica, della chimica, del tessile, dell'edilizia, del legno e arredo, dei trasporti, dell'agroalimentare, dei servizi e multiservizi Ue ITALIA In aumento 20,45% 30,66% Quota delle imprese italiane che ha intenzione di effettuare nuovi investimenti Al timone Cristian Camisa, presidente di Confapi, associazione di piccole e medie imprese Il problema della manodopera che non si trova: serve una formazione di alto livello e un costo del lavoro più basso La spaccatura tra le aziende di taglia small: il 42% ha visto i volumi di fatturato crescere, il 35% è andato incontro a una diminuzione.

 

Proposta di regolamento Ue Imballaggi e rifiuti Le sigle scrivono alla premier La proposta di regolamento Ue sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio se approvata nella sua attuale formulazione provocherebbe effetti pesantemente negativi sulle filiere produttive nazionali e sui consumatori oltre che opposti agli obiettivi di sostenibilità che dichiara di voler perseguire. Mette in discussione il riciclo dove l'Italia è leader e non tiene conto di soluzioni più sostenibili come le bioplastiche totalmente biodegradabili. È quanto scrivono Coldiretti, Filiera Italia, Cia, Confapi, Ancc-Coop, Ancd-Conad, Legacoop, Legacoop Agroalimentare, Legacoop Produzione&Servizi, Ue.Coop, Fai Cisl E Uila alla presidente del consiglio Giorgia Meloni.

Il Quotidiano del Sud - L'Altravoce dell'Italia - pag.1 / 25-10-2024

Stellantis in affanno mentre corre Ferrari

LA CRISI DELL'AUTO STELLANTIS IN AFFANNO MENTRE CORRE FERRARI

di GIANNI FESTA La crisi dell'automotive pesa e non poco sul mercato e in particolare per Stellantis con un calo di vendite di circa il 26 per cento rispetto al 2023. Dopo lo sciopero nazionale indetto dai sindacati per la crisi del settore si attende ancora la data di convocazione da parte del ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. Il quale, annunciando la convocazione del tavolo con il numero uno del gruppo, Carlos Tavares e gli altri attori del settore, dice: "Stellantis dia all'Italia quello che l'Italia ha dato alla Fiat in questi decenni". a pagina II Aspettado la convocazione del tavolo di Urso STELLANTIS IN AFFANNO MENTRE FERRARI CORRE Il gruppo amministrato da Tavares in difficoltà Da Melfi a Torino tra proposte e licenziamenti DI GIANNI FESTA La crisi dell'automotive pesa e non poco sul mercato e in particolare per Stellantis con un calo di vendite di circa il 26 per cento rispetto al 2023. Dopo lo sciopero nazionale indetto dai sindacati per la crisi del settore si attende ancora la data di convocazione da parte del ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. Il quale, annunciando la convocazione del tavolo con Carlos Tavares e gli altri attori del settore, dice: "Stellantis dia all'Italia quello che l'Italia ha dato alla Fiat in questi decenni". Come dire a Tavares: non si accettano ricatti sull'esborso degli incentivi statali. Abbiamo già dato. I sindacati di categoria, intanto non mollano. "Ci aspettiamo che il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, intervenga per Viminediata convocazione del tavolo con Stellantis". Alla voce dei sindacati si aggiunge quella della Confindustria il cui presidente, Emanuele Orsini, osserva che per affrontare la crisi del gruppo,"la risposta deve venire da loro, perché un'azienda multinazionale può e deve contribuire alla sviluppo e al mantenimento della filiera dell'auto nel nostro Paese". Gli fa quasi eco Matteo Salvini, ministro dei Trasporti e delle infrastrutture il quale si impegna a "fare di tutto per impedire i licenziamenti di Stellantis", ricordando che i contribuenti italiani hanno dato, nel corso degli anni, miliardi di euro all'ex Fiat, oggi in Stellantis. Ovviamente in questi giorni che precedono l'impegno assunto dal ministro Urso per la convocazione della multinazionaie presso Palazzo Chigi, negli stabilimenti del gruppo in Italia si vivono momenti di grande attesa, accompagnati da notevole preoccupazione. E tra i commenti spuntano anche interessanti proposte. IL CASO MELFI Anche nello stabilimento di Melfi, nel potentino, c'è grande preoccupazione per il futuro. Dice l'assessore lucano alle Attività produttive, Francesco Cupparo: "Oggi non è più il momento di nascondersi dietro un dito, ma di essere chiari e concreti su chi ha creato la causa e oggi vuole tirarsi fuori dalle conseguenze che ha creato". E aggiunge: "Sono giorni che purtroppo sulla questione Stellantis assistiamo a polemiche continue". Per salvare il salvabile e rilanciare un'azione propositiva per lo stabilimento di Melfi, Cupparo annuncia che a partire dal prossimo Consiglio regionale "tutti insieme si possa arrivare ad un documento chiaro nei confronti della Commissione Europea che contenga il diniego alla normativa che prevede che dal primo gennaio 2025, come è scritto nel documento Green Deal, ci sarà una ulteriore stretta per quanto riguarda i motori a combustione destinata a produrre gravissime ripercussioni sull'automotive in Italia". "Lavoreremo - afferma l'assessore lucano - affinché si possa costruire tutti insieme il rilancio dello stabilimento di Melfi". Scende in campo anche Vito Bardi, governatore della Basilicata, che auspica un confronto con tutte le Regioni italiane perché "solo attraverso un'azione congiunta si può andare lontano, aumentando il peso nelle relazioni con il governo e la stessa Stellantis". TORINO E LA CRISI Sembra aria da funerale quella che, invece, si respira nella capitale del Piemonte per la crisi Stellantis e le nefaste conseguenze dopo i giorni della Fiat. Lo spiega bene l'ex sindaco di Torino, Chiara Appendino: "Arrivo da una terra, il Piemonte, che sta soffrendo tantissimo per il tema Stellantis. Negli ultimi anni ho girato tanti cancelli delle fabbriche dove ci sono lavoratori che protestano, aziende in crisi la cui casa madre invece fa profitti e delocalizza: quello che raccontano queste persone - afferma Appendino - è la vergogna, la paura di non riuscire a pagare il mutuo, la cassa integrazione che è diventata una forma di schiavitù perché chi riceve il sussidio risulta occupato quindi nel 'boom occupazionale' di cui parla il governo - ma non prende lo stipendio pieno". In realtà, dice Appendino, "il governo fa come con una margherita: la sfoglia e uno a uno toglie i diritti che dovremmo rafforzare". Il pessimismo dell'ex sindaco di Torino trova una risposta con la proposta per rilanciare il settore. La fa il designer Fabrizio Giugiaro che rivendica le potenzialità del capoluogo piemontese nell'automotive. "Ci dispiace avere perso le 1000 auto al giorno che si facevano negli anni Ottanta, ma Torino non ha perso la capacità progettuale a 360 gradi, ha perso la produzione: ma se qualcuno volesse fare un'auto da zero basta che abbia il budget e a Torino gliela possiamo anche produrre". LA POLEMICA DELLA FERRARI Produrre in proprio? Si può fare dicono quelli della Ferrari che non hanno aderito allo sciopero nazionale dell'automotive di qualche settimana fa, ricevendo forti critiche dai sindacati. La risposta di una parte dei sindacati e della stessa azienda è stata netta e decisa. "La verità è che i programmi di Ferrari prevedono solo piani di crescita e sviluppo, piani dei quali continuerà a beneficiare anche l'indotto. Ferrari non sta attraversando nessuna situazione di crisi, ha assunto 1.800 persone in quattro anni mentre in Stellantis si sono persi oltre 14.000 dipendenti per prepensionamenti e incentivi", elencano Bonfatti e Zanetti, segretari della Cisl e della Uil. Se Stellantis "ha ridotto fortemente gli spazi produttivi per tagliare costi (si pensi a Grugliasco o al centro di ricerca di Modena), Ferrari ha un programma di espansione straordinario con piani pluriennali di nuovi modelli e investimenti sul territorio con nuovissime infrastrutture e capannoni industriali innovativi con rilevante riduzione dell'impatto ambientale e sui consumi energetici", LA CONFAPI Dalla organizzazione Confapi, piccole e medie industrie, giunge una richiesta ritenuta interessante. La fa il presidente dell'Associazione Cristian Camisa, il quale propone che lo Stato entri nel capitale della multinazionale per salvare un'eccellenza. "Ciò che ha fatto il governo fino ad oggi, non è sufficiente, c'è necessità di una proposta forte. E' il momento di valutare l'entrata dello Stato nel capitale di Stellantis, attraverso una società veicolo o altro strumento tecnico", dice Camisa che denuncia anche il rischio di una desertificazione dell'indotto che già avverte una crisi di rilievo. In realtà, i nodi posti sul risanamento delle aziende in Italia targate Stellantis, la necessità di evitare i licenziamenti e rilanciare lo sviluppo del gruppo sono tutte risposte che dovranno emergere dal confronto governo-Stellantis. Quando l'annuncio della convocazione del ministro Urso diventerà concretezza se ne saprà di più. Per ora una buona notizia, comunicata da Stellantis: dal prossimo 4 novembre, con la salita produttiva a due turni e mezzo, lo stabilimento di Adessa aumenterà la produzione da 650 a 800 veicoli al giorno, registrando quindi segnali positivi sul mercato dei veicoli commerciali. L'azienda fa sapere che, "comunque permane, nell'ambito della rimodulazione dell'attività produttiva complessiva, la necessità di ricorrere parzialmente alla cassa integrazione dal 18 al 30 novembre. Nello stabilimento di Pratola Serra (Irpinia) dove si producono i motori per i veicoli di Adessa (Chieti) la cassa integrazione interverrà solo per la giornata del 18 novembre.

 

La proposta di Regolamento Ue sugli imballaggi nella sua attuale formulazione provocherebbe effetti negativi sulle filiere produttive italiane ma aumenterebbe del 180% le emissioni di CO2 e di circa il 240% in più di consumo d'acqua. I quanto scrivono Coldiretti, Filiera Italia, Cia, Confapi, Ancc-Coop, Ancd-Conad, Legacoop (Agroalimentare, Produzione&Servizi), Ue.Coop, Fai-Cisl e Uila-Uil al premier Giorgia Meloni e ai ministri chiedendo al governo di intervenire con Bruxelles.

Intervista al Corriere della Sera del 25-03-2024

 

IL PROGETTO

 

PICCOLI SULLA SCIA DEL PIANO MATTEI «SERVE LAVORO»

«Dobbiamo guardare i paesi che hanno abbondanza di manodopera e formare i profili professionali che servono alle nostre imprese», spiega il presidente Confapi, Cristian Camisa

Pochi i timori: per il 60% delle pmi mercati stabili o in crescila. Energia, la spinta sul nucleare

di Isidoro Trovato

 

L’indagine di Confapi sulle piccole e medie imprese italiane è come il carotaggio sui ghiacciai: serve a capire le cause di ciò che è successo e prevede con una certa affidabilità gli scenari futuri. Analizzando il secondo semestre 2023 emerge che quasi il 40% delle piccole e medie industrie italiane ha registrato un incremento della produzione. È una delle evidenze più lampanti dell'indagine realizzata dall'Ufficio Studi di Confapi. Nel dettaglio: il 27,17% ha registrato aumenti dall'1% al 10%; il 7,39% dall'11% al 20%; il 14,35% un aumento di produzione di oltre il 20%. A trainare l'economia è sicuramente il mercato interno. Il 39,07% dichiara di aver incrementato il proprio fatturato proprio all'interno dei confini nazionali e di questi, il 25,17%, dichiara di aver registrato un incremento dei volumi di affari sino al 10%. Solo il 12,65% ha incrementato la quota di fatturato totale grazie al commercio estero all'interno dell'Unione Europea mentre il 10,93% grazie a quello extra Ue.

Risorse umane - Il problema più complesso è quello legato alle risorse umane: diventa sempre più difficile per una Pmi trovare il candidato adatto a ciò che serve e si tratta, generalmente di operai specializzati. Non a caso dall'indagine emerge che il 62,61% delle piccole e medie industrie ha difficoltà a reperire figure professionali rispetto ai propri fabbisogni aziendali. Dallo studio emerge in particolare che le aziende hanno difficoltà a trovare operai specializzati (48,75%), tecnici (31,46%), manodopera in generale (2o%), informatici (9,17%) e figure apicali come manager o dirigenti (7,09%). «Si tratta di un fenomeno complesso da affrontare — spiega Cristian Camisa, presidente di Confapi — dopo il Covid è cambiato l'atteggiamento dei giovani nei confronti del lavoro: non sono più disponibili a cambiare la loro qualità della vita e mettono come requisito prioritario l'equilibrio tra vita privata e lavoro. L'inverno demografico del paese peggiora la situazione a cui sia aggiungono anche fenomeni come i neet (giovani che non studiano e non lavorano). Noi abbiamo pensato a una sorta di servizio civile, a carico dello Stato, che preveda l'esperienza lavorativa a tempo di giovani nelle Pmi. Altro intervento utile sulle risorse umane sarebbe quello di una detassazione degli straordinari come incentivo a una maggiore produttività». Il 42% delle piccole e medie industrie, negli ultimi sei mesi dello scorso anno, ha avuto dimissioni volontarie dai propri dipendenti. La percentuale più significativa di tale dato si ha nella soglia tra 1 a 3 lavoratori dove si sono avute dimissioni per l’88,24% dei casi. «Dobbiamo guardare i paesi che hanno abbondanza di manodopera e formare i profili professionali che servono alle nostre imprese — continua il presidente di Confapi — In tal senso Confapi partecipa alla cabina di regia del piano Mattei ed è impegnata in progetti che prevedono la possibilità di formare giovani africani in molti dei 23 paesi che hanno aderito al progetto. Le Pmi dovranno avere un ruolo di primo piano e più centrale nel nostro sistema: sono le imprese che rappresentano un modello di industria che ha sempre dato certezze al paese anche nei momenti più critici». Cauto ottimismo Dall'indagine emergono altri fattori positivi: primo fra tutti che per l'anno 2024 il 58,54% delle imprese ha intenzione di effettuare nuovi investimenti e il 74,73% dichiara che investirà di più rispetto a quanto fatto l'anno passato. Un segnale di fiducia ed ottimismo da parte delle imprese. Dallo studio risulta anche che il 40,43% delle imprese investirà sino al 10% in più rispetto al 2023, mentre il 18,05% dall'U% al 20%. Significativa, 16, 25%, anche la percentuale di imprese che effettuerà investimenti superiori al 20%. Tra gli ambiti di investimento preferiti dalle imprese campionate vi sono i mezzi di produzione 53,38%, i sistemi digitali 40,21%, il capitale umano 30,96%, la sostenibilità ambientale 29,54% e più di un quarto delle imprese intende anche investire in attività di ricerca e sviluppo. Particolarmente significativa anche la quota parte di imprese che investirà in materia di salute e sicurezza 18,15%. Anche la questione energetica ha una rilevanza determinante per il futuro delle imprese: qualora non si riuscisse a pervenire all'autonomia energetica implementando forme di energia alternativa, bisognerebbe investire anche nell'energia nucleare pulita. Ne è convinto il 74,72% del campione di imprese di Confapi.

Il governo fermi la follia della Ue sugli imballaggi Associazioni di categoria e sindacati sottoscrivono un appello per bloccare il regolamento europeo che penalizza il riciclo Associazioni di categoria e sindacati chiedono l'intervento di governo e Parlamento per bloccare il Regolamento Ue sugli imballaggi che privilegia il riuso a scapito del riciclo. La norma, in fase di approvazione al Trilogo europeo, penalizza severamente l'Italia che è campione del riciclo. Primo firmatario dell'appello è il presidente della Coldiretti Ettore Prandini. «La proposta di Regolamento sugli imballaggi se approvata nella attuale formulazione provocherebbe effetti pesantemente negativi sulle filiere produttive nazionali e sui consumatori» si legge nella missiva, «oltre che opposti agli obiettivi di sostenibilità che dichiara di voler perseguire. Mette in discussione il riciclo dove l'Italia è leader e non tiene conto di soluzioni più sostenibili come le bioplastiche totalmente biodegradabili». C'è un motivo che ha indotto i rappresentanti del mondo produttivo a rivolgersi al governo chiedendo un intervento urgente. «L'attuale presidenza spagnola della Ue sta accelerando ulteriormente il negoziato cercando di far approvare un orientamento generale già al Consiglio ambiente del 18 dicembre e si rende quindi necessaria un'azione per fermare tale proposta che scrivono le associazioni firmatarie stravol- ge completamente la strategia finora utilizzata per la riduzione dei rifiuti di imballaggio passando dal principio del riciclo che ha caratterizzato tale strategia negli ultimi anni a quella del riuso. Il nostro Paese ha già raggiunto in termini di riciclo obiettivi superiori alla stragrande maggioranza degli altri Paesi: il tasso di riciclo complessivo degli imballaggi in Italia ha raggiunto quota 73,3% nel 2021, superando l'obiettivo del 70% fissato per il 2030». Un dato che ci colloca al secondo posto in Europa per riciclo pro-capite. «Rimettere in discussione questo modello ormai consolidato rischia di vanificare gli sforzi e gli obiettivi raggiunti finora, generando un impatto estremamente pervasivo che rischia di colpire oltre il 30% del nostro Prodotto interno lordo», prosegue l'appello. «Il danno non sarebbe infatti limitato alle sole aziende degli imballaggi ma riguarderebbe a ritroso filiere fondamentali per il nostro Paese quali l'intero settore agroalimentare, dalla produzione, alla trasformazione e distribuzione, mettendo a rischio decine di migliaia di imprese e centinaia di migliaia di posti di lavoro. Non è pensabile, tra l'altro, che le abitudini consolidate di milioni di consumatori possano essere stravolte con un semplice tratto di penna». Il documento è stato sottoscritto anche da Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia e dai presidenti di Cia-Agricoltori italiani (Cristiano Fini), Confapi (Cristian Camisa), Ancc-Coop (Marco Pedroni), Legacoop (Simone GamberiLegacoop Agroalimentare (Cristian Maretti), Legacoop Produzione & Servizi (Gianmaria Balducci) e dal segretario generale di Ancd Conad Alessandro Beretta. Oltre ai segretari dei due sindacai Fai Cisl (Onofrio Rota) e Uila (Stefano Mantegazza). ATTILIO BARBIERI ) RIPRODUZIONE RISERVATA

Tafani:«La competitività passa dalla sicurezza dei trasporti. Opportunità dalla ricostruzione in Ucraina e Gaza»

APPELLO AL GOVERNO In pericolo le filiere produttive nazionali con perdita di migliaia di posti di lavoro. Riflessi negativi che ricadrebbero sui consumatori «No alle misure sugli imballaggi» Le associazioni scrivono alla Meloni per bloccare il regolamento Ue che «penalizza il riciclo»

ANGELA BRUNI

Le nuove misure con cui la Commissione europea vuole tutelare il Pianeta scatenano polemiche e reazioni, in particolare dove viene messo in discussione il sistema del riciclo, tanto che alcune associazioni hanno deciso di scrivere a Giorgia Meloni. «La proposta di Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio se approvata nella sua attuale formulazione provocherebbe effetti pesantemente negativi sulle filiere produttive nazionali e sui consumatori oltre che opposti agli obiettivi di sostenibilità che dichiara di voler perseguire. Mette in discussione il riciclo dove l'Italia è leader e non tiene conto di soluzioni più sostenibili come le bioplastiche totalmente biodegradabili». E quanto scrivono Coldiretti, Filiera Italia, Cia, Confapi, Ancc-Coop, Ancd-Conad, Legacoop, Legacoop Agroalimentare, Legacoop Produzione&Servizi, Ue.Coop, Fai-Cisl E Uila Uil al presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni, ai ministri coinvolti direttamente, ai presidenti dei gruppi politici della Camera e Senato e ai Capi delegazione Parlamento. In particolare, sottolineano le associazioni firmatarie l'attuale Presidenza spagnola sta accelerando il negoziato cercando di far approvare un orientamento generale già al Consiglio ambiente del 18 dicembre e si rende quindi necessaria un'azione per fermare tale proposta che stravolge completamente la strategia finora utilizzata per la riduzione dei rifiuti di imballaggio passando dal principio del riciclo che ha caratterizzato tale strategia negli ultimi anni a quella del riuso. Il nostro Paese è diventato negli ultimi anni punto di riferimento globale nel materiale innovativo riciclabile ed ha già raggiunto in termini di riciclo obiettivi superiori alla stragrande maggioranza degli altri Paesi. Rimettere in discussione questo modello rischia di colpire oltre il 30% del nostro Prodotto Interno Lordo. Il danno non sarebbe limitato alle sole aziende degli imballaggi ma riguarderebbe a ritroso filiere fondamentali quali l'intero settore agroalimentare, dalla produzione, alla trasformazione e distribuzione, mettendo a rischio decine di migliaia di imprese e centinaia di migliaia di posti di lavoro». «Per il settore agroalimentare in particolare, proseguono le associazioni la proposta impatta negativamente il confezionamento stesso dei prodotti, mettendo a rischio gli attuali standard di sicurezza e qualità alimentare, con il conseguente rischio di aumento degli sprechi dovuto alla maggiore deperibilità degli alimenti venduti senza confezione». «Altro esempio rappresentativo sarebbe l'obbligo di passare dal riciclo al riuso nel settore dell'Ho.re.ca. Immaginiamo la difficoltà di sostituire ad esempio, nel servizio d'asporto, le stoviglie monouso riciclatili con materiale in plastica da riutilizzare che andrebbero restituite dal consumatore ogni volta al ristorante di provenienza».

Imballaggi, pressing italiano sulla Ue Politica e imprese contro il regolamento europeo: effetti pesanti sulle nostre filiere, spazio alle bioplastiche
Cresce il pressing delle associazioni contro la proposta di regolamento sulla riduzione dei rifiuti da imballaggio in discussione al Parlamento europeo. La proposta, approvata martedì 24 ottobre con 56 voti a favore, 23 contrari e 5 astensioni dalla Commissione Ambiente dell'Europarlamento (Envi), vieta le confezioni in plastica monouso e favorisce il riuso rispetto al riciclo. Due punti contestati, tra gli altri, da Coldiretti, Filiera Italia, Confapi e Legacoop, che hanno ottenuto un incontro a Bruxelles con oltre quaranta europarlamentari italiani di tutti gli schieramenti politici dopo aver scritto, nei giorni scorsi, una lettera congiunta. L'obiettivo? Far emergere le criticità della normativa, prima che venga discussa durante le sedute plenarie che si terranno nella settimana del 20 novembre. Tra i punti più contestati della nuova proposta di regolamento Ue emergono il divieto degli imballaggi monouso «in plastica e in materiale composito» e la volontà di privilegiare gli obiettivi di riutilizzo rispetto a quelli di riciclo. Proprio su quest'ultimo tema, i firmatari dell'appello sottolineano che in Italia il tasso di riciclo complessivo degli imballaggi è arrivato al 73,3% nel 2021. Il dato, superiore all'obiettivo del 70% da raggiungere entro il 2030, indica che quello italiano è un primato che va difeso. Per il presidente di Confapi, Cristian Camisa, «con questo regolamento si mettono a rischio circa 700 mila aziende della filiera, con ripercussioni devastanti su migliaia di posti di lavoro». Un impatto economico rilevante, che avrebbe ricadute negative su «oltre il 30% del Pil nazionale», considerando che la normativa si applicherebbe anche al settore della ristorazione, del catering e degli alberghi. Durante l'incontro a Bruxelles Rosario Rago, componente della Giunta nazionale di Confagricoltura, ha sottolineato il «rischio concreto che vengano danneggiate intere filiere strategiche del made in Italy». Una posizione condivisa anche dal vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio, responsabile del dipartimento Agricoltura e Turismo della Lega, secondo cui «non ha alcun senso spostare l'asse degli imballaggi tutto sul riuso, per chi ha già sviluppato le buone pratiche del riciclo. Ci sono ampi margini per una mediazione che consenta di mantenere in vita le due soluzioni». Il divieto agli imballaggi monouso si applica anche a quelli per prodotti ortofrutticoli freschi se usati per meno di 1,5 kg di frutta e verdura. Si tratta, ad esempio, di reti, sacchetti, vassoi e contenitori. Una misura che rappresenta un ulteriore pericolo per il settore dell'ortofrutta: «Gli imballaggi alimentari sono strategici per la protezione e la conservazione dei prodotti, l'informazione sulla tracciabilità e la loro igiene. Senza contare il rischio della possibile perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro», ha osservato Rago. Nel vietare gli imballaggi monouso, la proposta europea introduce alcune limitazioni sull'uso delle bioplastiche. Il termine racchiude diverse tipologie di materiali, dalle plastiche prodotte da biomasse ma del tutto simili a quelle fatte col petrolio, alle plastiche compostabili e completamente biodegradabili. Un settore in cui l'Italia è capofila, anche grazie alla ricerca d'avanguardia, ma che risulterebbe estremamente penalizzato. Secondo le associazioni, infatti, la proposta di direttiva europea non permetterebbe il ritorno degli investimenti fatti in processi produttivi innovativi e nelle bioraffinerie, annullando i progressi fatti nel settore.

Però pmi e broker avvertono: bisogna fare chiarezza su garanzie, contratti e rimborsi

Catastrofe assicurata

di Anna Messia
ismi, alluvioni e frane, ma anche inondazioni ed esondazioni. Da dicembre 2024 le imprese che hanno la sede o una stabile organizzazione in Italia saranno obbligare a stipulare una polizza contro le catastrofi naturali. A prevederlo è il disegno di legge di Bilancio in questi giorni all`esame del Parlamento e quanto ci sia bisogno di coprirsi dai danni provocati dagli eventi climatici lo dimostrano le cronache dell`ultima settimana, tra l`esondazione del fiume Seveso a Milano e le inondazioni tra Prato e Firenze. Danni enormi che stanno assumendo sempre più peso anche nei conti pubblici, considerando l`alto rischio idrogeologico dell`Italia, con l`aumento dei fenomeni e della loro intensità a causa del cambiamento climatico. Solo negli ultimi dieci anni, secondo quanto calcolato dal Consiglio Nazionale di Ricerca (Cnr), le catastrofi naturali in Italia sono costate quasi 310 miliardi di euro e a pagare finora è stato sempre lo Stato, con tempi spesso lunghi e inevitabili rischi di corruzione. Erano anni che, oltre alla necessità di investire sulla prevenzione, si parlava della possibile introduzione in Italia di un sistema pubblico-privato che avvicinasse l`Italia ad altri Paesi europei (come la Francia o la Germania). Il governo di Giorgia Meloni ha rotto gli indugi, riservando l`intervento, almeno per ora, alle sole imprese (escluse quelle agricole, per le quali c`è il fondo Agricat). La formula è pena dell’obbligatorietà, in cui lo Stato assume «il duplice ruolo di regolatore del mercato assicurativo nel ramo e di riassicuratore, con una garanzia a favore delle compagnie di assicurazione prestata da Sace (fino al 50% degli indennizzi, ndr)», come si legge nella relazione al ddl Bilancio.
Strada obbligata. La manovra potrà essere ancora modificata nel suo iter ma il testo attuale prevede che le imprese senza copertura assicurativa restino escluse «dall`assegnazione di contributi, sovvenzioni o agevolazioni di carattere finanziario a valere su risorse pubbliche, anche con riferimento a quelle previste in occasione di eventi calamitosi e catastrofali». In altri termini, non avranno alcun diritto a ricevere sostegni pubblici o fondi per la ricostruzione post-catastrofi. Un bell`incentivo ad acquistare una polizza. Anche le compagnie assicurative, dal canto loro, saranno però obbligate a offrire la copertura assicurativa, magari lavorando in pool, con il rischio di ricevere una multa compresa tra 200 mila e un milione di euro in caso di rifiuto. Un obbligo a contrarre che al momento nel mercato assicurativo era previsto solo nel ramo Rc Auto e che non ha mancato di sollevare discussioni tra gli operatori, così come altri aspetti dell`articolo 24 del disegno di legge che ha introdotto le nuove norme sul rischi catastrofali.
Abitazioni grandi escluse. Il fatto, si osserva, è che le maggiori carenza di coperture assicurative contro le catastrofi non sono tanto tra le imprese quanto tra le abitazioni private. Secondo gli ultimi elaborati da Ania, buona parte delle imprese più grandi (quelle con più di 250 addetti) hanno infatti già oggi una copertura contro le catastrofi naturali e i rischi climatici. Percentuale pari per la precisione al 78%, che scende proporzionalmente al diminuire della dimensione delle imprese. La diffusione di polizze anti-catastrofi tra le imprese che hanno tra 50 e 249 dipendenti è infatti pari al 67% e si riduce al 55% tra quelle più piccole (10-49 dipendenti) per crollare addirittura al 5% tra le micro-imprese, ossia quelle che hanno meno di 9 dipendenti. La norma va quindi a incidere in particolare su queste ultime, ma restano fuori le abitazioni private, che hanno anch`esse una percentuale di assicurazioni anti catastrofi decisamente esigua, pari sempre a 5%, nonostante circa il 40% delle case sia per esempio in zone a media o elevata pericolosità sismica. Un`accelerazione delle coperture per i privati c`è stata dopo che, a decorrere dal 2018, sono state previste agevolazioni fiscali, con l`esenzione dell`imposta sui premi e la detrazione del 19% di quanto versato. Quindici anni fa le case con polizze catastrofali erano praticamente pari zero; in ogni caso, come visto, i numeri restano piccoli e la manovra non ha previsto incentivi per aumentarli.
So s trasparenza. Le altre questioni da chiarire riguardano poi la concreta applicazione delle norme e in particolare la trasparenza degli eventuali rimborsi. L`obbligo di una polizza anti-catastrofi «rappresenta un aumento di costi per le imprese, ma stiamo parlando di uno di quei casi in cui la mutualizzazione, ovvero il trasferimento del rischio a chi può gestirlo, è un fattore positivo. Spesso le piccole e medie aziende non riescono a far fronte alle
conseguenze dovute a eventi atmosferici gravi, estremi e imprevedibili, che, se avvengono, le mettono in ginocchio con il rischio di farle chiudere», dice Cristian Camisa, presidente di Confapi, la confederazione italiana della piccola e media industria privata. Bisognerebbe però adottare due accorgimenti affinché lo strumento che il governo intende adottare funzioni, suggerisce. «Il primo è che le forme contrattuali che dovessero essere stipulate abbiano caratteristiche simili e clausole comuni definite dalle autorità assieme alle imprese assicuratrici per evitare che ci possano essere modelli assicurativi completamente differenti e che vi siano problemi in caso di richiesta di risarcimento del danno». La seconda, dice, «è che venga creato un tavolo di lavoro che si occupi delle perizie, composto da più imprese assicuratrici in cui anche le associazioni datoriali possano avere un ruolo, nell`ottica di non lasciare sola la piccola impresa contro la grande impresa assicuratrice in un momento complicato». Anche sulle coperture ci sarà bisogno di fare chiarezza, aggiunge Flavio Sestilli, presidente di Aiba (l`associazione dei broker assicurativi). «Nelle casistica citata nella manovra non si parla per esempio di grandine e trombe d`aria, che pure sono sempre più frequenti» dice. «Sulle polizze non è prevista poi alcuna agevolazione rispetto all`attuale tassazione del 22,25% dei premi (con lo Stato che vedrebbe quindi crescere i suoi introiti con le nuove polizze, ndr)», conclude, «e anche la riassicurazione di Sace, fino a 5 miliardi, rischia di non essere sufficiente in caso di un evento particolarmente rilevante».