Garantire continuità obiettivo della Confapi Completare í lavorí è una necessítà. Sulla questione degli incentivi edilizi interviene Confapi Lecce. «Occorre intervenire subito per garantire la continuità del Superbonus», commenta Giuseppe Petracca, direttore Confapi Lecce. «Pur consapevoli delle ripercussioni generate da questa misura e dell'esigenza di ripensare una politica sostenibile di incentivi fiscali nell'edilizia, sottolineiamo l'urgenza di un intervento normativo che possa garantire ai cantieri aperti di ultimare i lavori rientranti nel superbonus senza vincolarli allo stato avanzamento lavori e utilizzando lo sconto in fattura anche nel 2024. I ritardi accumulati sono dovuti sostanzialmente a due elementi non dipendenti dal sistema imprenditoriale: incertezze normative e blocco della cessione dei crediti. Non si comprende, peraltro, la disciplina disomogenea che ne è scaturita, con proroga ammessa per gli edifici unifamiliari, ma non per i condomini che rappresentano, socialmente e economicamente, la parte più significativa degli interventi. Così come non può giuridicamente e operativamente ritenersi ammissibile una norma retroattiva che modifichi la disciplina economica di lavori contrattualizzati con un regime che prevedeva l'aliquota al 100 per cento e lo sconto in fattura. In questo contesto aggiunge Petracca si richiede una proroga di sei mesi per i lavori in corso, condizionata a notifica preliminare antecedente la concessione della proroga; l'applicazione dello sconto in fattura nel 2024 anche per i nuovi lavori del superbonus sottoposti ad aliquota del 70 per cento. La mancanza di un intervento tempestivo comporterebbe l'ampia presenza di lavori non ultimati e il proliferare di contenziosi tra condomini e imprese, oltre a mettere a rischio incolumità e sicurezza degli addetti a causa della rincorsa esasperata a finire i lavori entro l'anno in corso. Resta evidentemente di fondamentale importanza chiosa Petracca un intervento del Governo in grado di favorire in modo incisivo lo sblocco dei crediti; i pur apprezzabili tentativi delle Regioni non costituiscono certo la soluzione efficace al problema».

 

 

Pmi, crollano gli ordini e il fatturato Allarme dell'Api: manifatturiero in crisi. Più cassa integrazione, investimenti bloccati Tira un'aria da brividi tra le piccole imprese manufatturiere e delle costruzioni torinesi. Ad anticipare l'inverno c'è il crollo di ordini e fatturato, e in conseguenza gli investimenti, in un caso su due, vengono rimandati a tempi, e soprattutto a tassi di interesse, migliori. Questo è il quadro che emerge dall'indagine di Api Torino sul secondo semestre 2023 dove la recessione, per il momento schivata dal sistema Paese, fa ormai parte del business pian delle imprese. Crollano ordini e fatturato delle Pmi «A Torino l'industria è in recessione» Api lancia l'allarme: il manifatturiero è in crisi. Sale la cassa integrazione, investimenti bloccali Tira un'aria da brividi tra le piccole imprese manufatturiere e delle costruzioni torinesi. Ad anticipare l'inverno c'è il crollo di ordini e fatturato, e in conseguenza gli investimenti, in un caso su due, vengono rimandati a tempi, e soprattutto a tassi di interesse, migliori. Questo è il quadro a tinte fosche che emerge dall'indagine di Api Torino sul secondo semestre 2023 dove la recessione, per il momento schivata dal sistema Paese, fa ormai parte del business pian delle imprese. Il divario tra ottimisti e pessimisti si accentua a seconda delle filiere produttive. Le società di servizi, ad esempio, guardano al futuro con minore apprensione, infatti il saldo resta positivo, al 16%, mentre chi fa industria sperimenta un crollo della fiducia che è precipitato di 15 punti negli ultimi tre mesi. La spia d'allarme, che già lampeggia nelle quotazioni del rame (in deciso ribasso) e di petrolio e dell'oro (in forte rialzo) mentre il gas resta sotto i 47 euro, si traduce nelle buste paga dei lavoratori. È in aumento il ricorso agli ammortizzatori sociali. Quasi il 9% delle piccole imprese industriali, quelle dell'indotto auto e della meccanica, hanno richiesto la cassa integrazione. «Si tratta afferma Fabrizio Cenino, presidente dell'associazione delle piccole imprese di Torino di una fotografia che rappresenta bene la reale situazione e che non lascia spazio a dubbi: le nostre imprese soffrono di tutto il peso derivante da due guerre in corso quasi ai confini del Paese e della conseguente crisi dei costi». E poi precisa l'imprenditore: «A tutto ciò si aggiunge l'effetto dell'incremento esagerato del costo del denaro che frena gli investimenti e appesantisce le aziende che hanno investito. Ora la Bce dovrebbe tagliare i tassi. Se si aggiunge il clima di assoluta incertezza sia a livello nazionale che internazionale, si comprende subito il crollo della fiducia nelle prospettive manifestato dai nostri imprenditori». Nell'Eurozona che si avvia verso una fase recessiva, anche se secondo gli analisti sarà uno stop breve, l'inflazione è scesa ai minimi dopo la lunga corsa dei prezzi alimentata dal costo dell'energia. La stretta del credito, dettata dai rialzi della Bce, si è fermata ma i finanziamenti bancari restano molto cari. Ecco perché la «vecchia» industria, che richiede alta intensità di capitali e di tecnologia, sembra essersi fermata e naviga a vista. Il portafoglio ordini delle Pmi manifatturiere non va oltre il mese nel 47% dei casi, anche se il grado di saturazione degli impianti resta al 71%, in leggera frenata ma ancora in territorio positivo. Tuttavia un'impresa su due ha tirato i remi in barca e non investe. Un dato in linea con gli indici manifatturieri dei altri paesi, dal Regno Unito fino alla Cina, a dimostrazione che il rallentamento dell'economia globale è già entrato nelle linee produttive. «La nostra indagine spiega Fabio Schena, responsabile dell'Ufficio studi di Api Torino riporta nuovi segnali di tensioni che si riflettono sul grado di fiducia degli imprenditori. Infatti il saldo ottimisti/pessimisti è crollato del 13%, perdendo 15 punti percentuali rispetto a solo 3 mesi fa». Per il futuro le imprese che prevedono di assumere sono sempre meno. Stando alle stime di Api Torino diminuiscono dal 45,7 al 39%. Una buona notizia per i flussi di cassa delle Pmi arriva da tempi di pagamento che, inaspettatamente, si riducono. Il 31,4% delle aziende vanta crediti scaduti da oltre 6o giorni, mentre erano il 43% tre mesi fa. Christian Benna (C) RI panni I71nNF RISFRVATA La vicenda.

“Le misure urgenti approvate in Consiglio dei Ministri aprono, di fatto, la crisi del comparto e della filiera delle costruzioni, con impatti potenzialmente devastanti». Adirlo è Massimo Paniccia, presidente di Confapi Fvg, facendo eco alle dichiarazioni del numero uno di Confartigianato regionale, Graziano Tilatti, e al leader di Ance, Roberto Contessi. Il sindacato datoriale boccia senza appello la decisione del Governo Meloni auspicando l'adozione di immediati correttivi per evitare che il blocco dello sconto in fattura e della cessione dei crediti inneschi una nuova crisi del comparto. Il presidente di Confapi guarda alla necessità di una modifica della norma, «sperando l'apertura del ministro Giorgetti sia davvero tale» e consenta «di trovare una soluzione nell'interesse del comparto, del mercato del lavoro e del Paese tutto». Occhi puntati sulle prossime mosse del Governo anche da parte del presidente di Ance Fvg: «Speriamo che l'incontro del Governo con le categorie, mai convocate prima, frutti i necessari aggiustamenti, viceversa ci saranno ripercussioni notevoli, su imprese, famiglie e banche». Contessi mette a fuoco le criticità maggiori che al momento riguardano i crediti incagliati - stimati dall'Ufficio studi di Confartigianato Udine in 286 milioni di euro in regione-: dobbiamo trovare uno sbocco che consenta alle imprese che hanno i cassetti fiscali con diversi milioni da cedere di trovare un interlocutore serie per compiere questa operazione”. Graziano Tilatti (Confartigianato) «Auspichiamo che i vertici regionali manifestino il disagio che il provvedimento ha creato» setti fiscali con diversi milioni da cedere di trovare un interlocutore serio per compiere questa operazione». Un interlocutore che in Friuli Venezia Giulia, va detto, era già stato trovato grazie alla disponibilità della Regione, che in consiglio aveva varato appena pochi giorni fa una norma, inserita nella legge Omnibus, che le consentiva l'acquisto dei crediti. Una finestra aperta e subito chiusa dall'intervento del Governo. «Abbiamo apprezzato la sensibilità del Consiglio, perché ha capito la gravità della situazione. Purtroppo - dice Tilatti - la disposizione governativa rende impraticabile la norma. Auspichiamo che i vertici regionali manifestino al Governo il disagio che il provvedimento ha creato tra imprenditori e cittadini». «Non si comprende-conclude il leader degli artigiani - la ratio di una simile decisione. Se l'obiettivo fosse distruggere un settore, potrebbero riuscirci».

Si è svolto a Roma con i vertici Enel un primo incontro voluto dalla Confapi Aniem Abruzzo sulle problematiche relative ai crediti di imposta incagliati, derivanti dagli interventi di efficientamento energetico attraverso il Superbonus 110%. La priorità dell`Associazione imprese edili manifatturiere d`Abruzzo, attiva in tutte le quattro province con 460 iscritti e oltre 6.300 addetti, è quella di aprire un confronto sui contratti sottoscritti sul territorio con Enel X, la cui stasi riguarda in Abruzzo più di 450 cantieri. All`incontro, avvenuto nella sede di Enel in via Arno a Roma, hanno partecipato il vice presidente nazionale di Confapi Aniem, Bruno Faccio lini, i presidenti delle sezioni di Pescara-Chieti Luigi Pagnini, di Teramo Enzo Marcozzi e dell`Aquila Federico Bologna, oltre che una delegazione delle quattro province composta dal direttore di Confapi Aniem Pescara-Chieti Marco Medori e di Confapi Aniem Teramo Alfonso Savini. «Si tratta del primo di una serie di confronti necessari a dare risposte alle nostre imprese e ad affrontare la situazione», spiega Pagnini, «perché se su scala nazionale i crediti maturati che risultano attualmente incagliati si attestano a circa 3 miliardi, rispetto ad un totale dí 19 miliardi, per le attività della galassia Confapi Aniem, in Abruzzo questi rappresentano una cifra altrettanto imponente: parliamo di 166 imprese edili Confapi-Aniem che contano crediti contrattualizzati con Enel X per circa 280 milioni di curo, a seguito di ben 484 interventi conclusi o in fase di ultimazione. Uno stallo», sottolinea, «che preoccupa la categoria. Per questo abbiamo chiesto a Enel di aprire un confronto per riattivare l`iter della monetizzazione, in modo da restimire ossigeno alle realtà locali che hanno lavorato grazie a questa opportunità. Per dare risposte ai nostri iscritti e, a prescindere dalle sigle, a tui intero comparto in enorme sofferenza, siamo disponibili», conclude, «a fare il possibile per costruire, insieme a tutte le parti coinvolte, istituzioni comprese, una soluzione capace di riattivare un circuito che per molte realtà è vitale». «Era importante aprire un` interlocuzione ufficiale con Enel sullo stallo e formalizzare una lista delle priorità che invieremo in questi giorni, in modo da avere riscontro alla prossima occasione di dialogo che ci sarà a breve», aggiunge Marcozzi, «una di queste è la tempistica, indispensabile sia per dare respiro alle imprese, sia pure per definire i cantieri, visti i tempi stretti della misura; così come lo è riaprire la piattaforma per inserire la documentazione in progress; nonché trovare il modo per evitare alle imprese esborsi per i materiali, essendo comunque Enel uno dei fornitori, oltre che il detentore dei crediti d`imposta sulle opere. Su questi temi», conclude Mracozzi, «abbiamo trovato disponibilità a confrontarsi, tanto da istituzionalizzare il dialogo e su questo faremo la nostra parte».

Stop ai motori termici dal 2035? Le ripercussioni per la filiera dell'automotive saranno immediate. «Considerando che per progettare e validare nuovi prodotti servono mediamente dieci anni, rischiamo di vedere azzerati già dal 2025 gli ordini per il lancio di nuovi prodotti su auto a motore termico». A spiegarlo è il presidente di Unionmeccanica Confapi Brescia Gianluca Baiguera, consigliere delegato di Galba srl. Il giorno dopo l'approvazione da parte del Parlamento europeo del provvedimento che vieta la vendita di veicoli con motori termici dal 2035, l'allarme arriva non a caso dal Bresciano, cuore nevralgico della componentistica automotive italiana. Qui si contano 250 imprese coinvolte sulle 1000 lombarde, 18mila dipendenti sui 50 mila di tutta la regione ed un fatturato complessivo di 6,5 miliardi di euro sui 20 miliardi lombardi (dati forniti da Confindustria Brescia, fonte Cluster Lombardo della Mobilità). Il tema sollevato da Confapi Brescia «è che ci si stia muovendo senza aver valutato opportunamente le questioni dell'adeguamento infrastrutturale e del fabbisogno energetico legati alla transizione al Full-Electric», continua Baiguera. La richiesta è di ripensare la scadenza rigida del 2035, rivalutando soluzioni alternative come quelle dei biocarburanti o del motore ibrido. Il rischio? «Una grave crisi occupazionale». La questione degli investimenti legati all'innovazione e alla riduzione delle emissioni, finora poco condivisi con le grandi case produttrici, e le incognite legate alla scadenza del 2035 sono anche gli scenari emersi da due incontri organizzati in queste settimane da Confindustria Brescia e Intesa Sanpaolo. I gruppi di lavoro, presieduti dal direttore generale di Confindustria Brescia Filippo Schittone e dal direttore regionale Lombardia Sud di Intesa Sanpaolo Marco Franco Nava, hanno visto la partecipazione di 12 imprese bresciane, con un fatturato complessivo di quasi 1,5 miliardi di euro. I focus group hanno confermato i risultati dell'analisi condotta dal Centro Studi di Confindustria Brescia e dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo: tre quarti delle imprese bresciane intervistate considera la transizione elettrica un'opportunità se accompagnata da rilevanti investimenti; il 25% ha una certa perplessità a riguardo, contro il 14,3% nazionale. C'è però la consapevolezza delle imprese bresciane di essere soggetti di riferimento per la filiera regionale nel processo di trasformazione tecnologica, indicato dal 65,9% delle aziende intervistate. Secondo Schittone, i 278 voti contrari all'Eurocamera sono «un dato significativo, che conferma i nostri dubbi sulla decisione di puntare tutto sull'elettrificazione, senza privilegiare invece la via della neutralità tecnologica, come più volte avanzato da Confindustria. Il rinnovo della Commissione Europea del 2024 apre ulteriori incertezze e sarà sicuramente da valutare lo stato di avanzamento dei lavori sul Fit for 55, calendarizzato per il 2026».

Frabel, Technical Spring, Teo.rema, Torneria Donati, Total Materia e Zanola. Sono le sei aziende protagoniste dello stand promosso da Confapi Brescia a Mecspe 2023, il grande appuntamento internazionale dedicato alle innovazioni per l`industria manifatturiera in programma a Bologna Fiere dal 29 al 31 marzo. Lo stand Confapi sarà il 25-A, nel padiglione 26. "Partecipare a Mecspe costituisce per noi e per le nostre imprese associate un momento prezioso di crescita, utile anche a rinforzare il legame tra innovazione e sostenibilità - sottolinea il presidente di Confapi Brescia, Pierluigi Cordua -. Attraverso Mecspe, le nostre aziende partecipanti avranno modo di farsi conoscere. Confapi Brescia le sosterrà anche grazie al supporto garantito dal personale dell`ufficio estero dell`Associazione". Per le Pmi partecipanti lo stand collettivo promosso da Confapi è un`occasione preziosa per essere presenti a una fiera internazionale di tale portata, contenendo però i costi. "Per noi la funzione di servizio agli associati è cruciale - osserva Leonardo lezzi, direttore esecutivo Confapi Brescia -. Nel corso di questi anni abbiamo rafforzato sempre più la nostra rete di servizi e ne abbiamo creati di nuovi. Oggi quelli che offriamo agli associati sono molto competitivi sia in termini di qualità che di costi".

«È un suicidio». Non sceglie la diplomazia Fabrizio Cellino, presidente di Api Torino e voce delle piccole e medie imprese metropolitane. Tre parole per commentare la decisione confermata dall'Europa sul 2035 come stop alla produzione di automobili a benzina o a diesel. Una mannaia, secondo Cenino, che rischia di abbattersi su Torino e Piemonte, dove con le auto a motore endotermico si convive (e si vive) da oltre un secolo. A preoccupare le pmi, in particolare, non è il principio in sé («Se si ragionasse in termini di filiere complessive ci sarebbe un'impossibilità tecnologica, ma avrebbe un senso»), ma l'architettura alla base: «Mi pare un assurdo farlo solo in Europa, con batterie prodotte principalmente dalla Cina, tra l'altro anche con fonti energetiche ad alto impatto ambientale». Proprio la Cina spaventa: perché se la fuga dai combustibili fossili ha ragioni ambientali, ma anche "politiche" (sottraendosi alla dipendenza dai paesi produttori, Russia compresa), sposare in pieno l'elettrico significa semplicemente spostare il vincolo verso Pechino. «Non ha senso imporre una soluzione tecnica che ci mette nelle mani dei fornitori cinesi. Bisogna trovare una soluzione europea» è il pensiero che ha espresso nei giorni scorsi anche Giorgio Marsiaj, presidente dell'Unione Industriali e ribadito ieri, in occasione della presentazione della Fiera A&T che si terrà all'Ovai dal 22 al 24 febbraio. Cellino sposa la linea: «Rischiamo di spostare il problema inquinamento togliendolo a noi e aumentandolo nel resto del mondo . Inoltre ci suicidiamo in termini di occupazione e dell'industria che abbiamo creato in 50 anni. È un'assurdità totale sotto tutto i punti di vista, sia green sia sociali. Non posso e non voglio credere conclude che da qui al 2035 non verranno fatte modifiche e trovate mediazioni». Anche il settore artigiano è preoccupato: «Prendiamo atto della scadenza Ue - dice Nicola Scarlatelli, presidente di Cna Torino - ma mancano risposte importanti su temi rimasti in sospeso». E il discorso Cina torna prepotente: «Non si può non ragionare sull'impatto occupazionale, mentre quello di dipendenza nuovamente da altri Paesi sarà uguale se non maggiore all'attuale». Poi ci sono gli aspetti pratici: «Ilrispetto del clima non può coinvolgere un solo settore trascurando tutti gli altri. Senza dimenticare che ci sono paesi che non rispettano minimamente questi obiettivi. E infine, da qui al 2035, abbiamo idea di cosa significhi rottamare milioni di auto?». Infine l'indotto, che a soffrire è abituato: «Sul nostro territorio ormai il grosso urto è già avvenuto anni fa e abbiamo resistito. Mi preoccupano gli altri stabilimenti in Italia: se passiamo all'elettrico, cosa produrranno a Melfi, Cassino, Pomigliano o in Val di Sangro?».

Dopo la pandemia, la guerra e il caro energia, adesso sono i tassi a spaventare le piccole e medie imprese torinesi. Lo dice l`ultima indagine realizzata da Api Torino, che se da un lato mostra ancora una certa debolezza legata a mesi non facili, sull`altro piatto della bilancia pone quello che il presidente, Fabrizio Cellino, definisce un «allentamento delle condizioni di contesto generale». A cominciare proprio da prezzi dell`energia che sembrano rallentare la loro corsa a perdifiato. «E infatti - sottolinea Cellino - la stessa produzione manifatturiera sta leggermente migliorando, avendo patito più dei servizi il contraccolpo dei costi di luce e gas». E se da un lato gli ordinativi ancora non rilanciano la loro spinta («ma è coerente con quel che è successo alla fine del 2022»), il clima di fiducia sta migliorando e questo ci fa ben sperare. I nuovi investimenti sono in crescita di due punti percentuali rispetto al passato - prosegue il presidente di Api Torino -: gli imprenditori vogliono continuare a fare il loro mestiere ed è il segnale migliore che emerge da questa indagine». A fare il paio, anche l`intenzione da parte di poco meno di un`azienda su due, di assumere. «É il termometro di come l`imprenditore non voglia uscire dal campo. Le tensioni sono un po` calate, c`è più ottimismo anche se la debolezza rimane». Il timore, piuttosto, è che superati alcuni ostacoli che sembravano minacciosi, ora se ne scopra un altro, subito dopo la curva. «Stiamo vivendo un periodo che alterna cicli positivi e negativi, anche in maniera molto netta. Ma adesso ciò che ci preoccupa davvero è l`innalzamento dei tassi di interesse: si tratta di una strategia, presa a livello europeo, che può finire per danneggiare non solo le imprese, ma anche le famiglie. Serve cautela, come anche l`Italia ha fatto notare, nel rialzare continuamente i tassi. Non è nemmeno scontato che sia la ricetta giusta: ora che non sembra esserci una crisi delle dimensioni temute, si rischia di soffocare le imprese in un`al- tra maniera». Per il primo semestre 2023 migliora il grado di fiducia degli imprenditori: il saldo tra ottimisti e pessimisti è pari a zero, ma si tratta di un passo avanti visto che a dicembre 2022 segnava un -8%. Ma la situazione è piuttosto diversificata al suo interno: se la manifattura resta in equilibrio, i servizi (+3,7%) vedono nuvole decisamente meno nere rispetto alle costruzioni, che con un -25% sintetizzano tutte le incertezze sul fronte Superbonus e crediti incagliati. Uno scartamento notevole si mostra anche tra chi esporta (+4,6% per gli ottimisti) e chi non lo fa (-5%). La quota di chi investe sale dal 56,3 al 58,4%, mentre sel`8% delle pmi fa uso di ammortizzatori sociali, il 45,6% delle imprese ha in programma nuove assunzioni. Soprattutto (il 16,8%) a tempo indeterminato. «Ma c`è ancora bisogno di strumenti importanti per sostenere le imprese - conclude Cellino -. Il sistema delle piccole e medie imprese torinesi non può certo essere lasciato da solo».

L'analisi su 300medie e piccole lombarde: fatturato aumenta per la metà delle imprese, ordini su del 36%

Tanto si parlò della recessione che alla fine non si fece nemmeno vedere. Qualcuno ha iniziato a dirlo sottovoce diverse settimane fa, altri hanno seguito, ora arrivano conferme anche dai dati congiunturali dei centri studi. Lo osserva ad esempio l'analisi congiunturale redatta dal Centro Studi di Confapindustria Lombardia relativa al quarto trimestre 2022 nel rilevare segnali di ripresa e una crescita della fiducia per la prima parte del nuovo anno appena avviato. L'indagine ha coinvolto circa 300 piccole e medie imprese lombarde del sistema Confapi, in gran parte del settore metalmeccanico, e fotografa una situazione senz'altro meno negativa rispetto a quanto si temesse qualche mese fa. Che il rallentamento ci sia è indubbio, ma al momento la marcia indietro non è ancora stata innestata e non è nemmeno detto che verrà fatto. «Dopo un anno vissuto affrontando vari ostacoli (aumento dei prezzi delle materie prime, energia, gas e conseguenze della guerra in Ucraina) il 2022 si chiude con segnali positivi per il manifatturiero lombardo — sottolinea il centro studi —. Bene soprattutto il fatturato che aumenta per 5 aziende su 10 , ampiamente stabili occupazione e investimenti, gli ordini crescono però solo per il 36% degli intervistati. Si registra un rallentamento nei costi delle materie prime e dell'energia che ha quindi un effetto positivo sulle aziende». Per quanto riguarda gli ordini l'Italia rappresenta il territorio con maggiori segnali di vitalità, per più della metà degli imprenditori il fatturato realizzato lungo la penisola è in aumento. Fuori dall'Europa si registra stabilità, ma per più di 4 intervistati su 10 la domanda sta calando anche in modo marcato. Complessivamente il 2022 si chiude con risultati buoni nei tre principali indicatori di congiuntura: gli ordini domestici sono positivi per 6 aziende su 10, la produzione altrettanto per meno di 7 intervistati su 10, occupazione stabile per 6 su 10. Sono indicatori migliori rispetto all'atteso e si registra una parziale revisione al rialzo delle previsioni al 2023 che rappresenta un'iniezione di fiducia per le pmi lombarde. «Il raffreddamento dei prezzi delle materie prime e i valori energetici in forte calo hanno avuto un effetto positivo sulle nostre imprese >>, commenta Luigi Sabadini presidente di Confapindustria Lombardia —. Questi due aspetti sono determinanti per tornare a lavorare con maggior fiducia e serenità rispetto all'anno scorso, anche se prevale ancora un atteggiamento di forte cautela tra gli imprenditori. Forse possiamo dire che nel 2022 abbiamo toccato il fondo e ora stiamo risalendo».

Il 2022 del made in Brescia si chiude con un record per le vendite all`estero, pari complessivamente a 22,3 miliardi di euro, in rialzo del 17,7% sul 2021. In forte crescita anche le importazioni (+24,4%), passa-. te dagli 11,5 miliardi circa del 2021 ai 14,3 miliardi del 2022. Il saldo commerciale è di conseguenza positivo per circa 8 miliardi di euro, rispetto ai 7,5 dell`anno precedente. La crescita dell`export registrata lo scorso anno a livello provinciale ha interessato in modo significativo anche l`ultimo trimestre del 2022. A osservarlo sono i dati sul commercio estero diffusi dall`Istat. In una nota il centro studi di Confindustria Brescia osserva che sul risultato «incidono, in particolare, i livelli elevati dei prezzi delle materie prime industriali e la buona performance del commercio internazionale, oltre al dinamismo mostrato dall`industria locale». Brescia, insieme a poche
altre province, è tra quelle che ha avuto le maggiori performance. Tra i mercati di destinazione, le dinamiche più intense riguardano i flussi verso Germania (+21%), Stati Uniti (+29%), Brasile (+36%) e India (+56%). In controtendenza, ma ce lo si poteva aspettare per ovvi motivi, Russia (-8,7%) e Cina (-18%). In generale l`Ue resta il mercato privilegiato (65% del totale), ma col segno decisamente positivo sono anche America settentrionale e centro meridionale. In crescita ma in misura più modesta la dinamica commerciale verso l`Asia (1,9 miliardi circa, +8,7%) e addirittura in calo quella verso l`Africa (516 milioni di euro, -2%). Nell`ultimo trimestre, quello più difficoltoso dal punto di vista della domanda, che è andata progressivamente raffreddandosi, si registra un rallentamento verso la Germania, «un movimento verosimilmente ascrivibile al- le difficoltà della locomotiva tedesca, che potrebbe protrarsi anche per il 2023», osserva ancora nella nota a commento il centro studi Confindustria Brescia. «Se il rialzo delle materie prime incide sulle dinamiche record dell`export bresciano, è però altrettanto vero che il nostro sistema produttivo continua a dimostrarsi fortemente competitivo, grazie alla sua capacità di innovare e al suo know how - commenta Mario Gnutti, vice presidente di Confindustria Brescia con delega all`Internazionalizzazione -. Non dimentichiamo, in questa analisi, anche il deprezzamento dell`euro nei confronti delle principali valute estere, dollaro in primis, che ha favorito le vendite al di fuori del Vecchio Continente». «Ancora una volta Brescia archivia un risultato di grande valore per le sue imprese - sottolinea Pierluigi Cordua, presidente di Confapi Brescia nel commentare i dati rielaborati dal centro studi dell`associazione da lui guidata -. Molte aziende chiudono quindi positivamente il 2022, seppur con numeri in parte dopati dall`inflazione e influenzati dall`aumento delle importazioni». Da parte sua anche una sottolineatura sull`automotive. comparto che pesa enormemente nella geografia manifatturiera locale: «Conosciamo l`importanza dell`automotive per Brescia e sappiamo che la Germania è uno dei nostri maggiori partner commerciali. Cercare quindi di pianificare una transizione verso il green che non sia solo elettrico, come si sta facendo a livello di sistema e come facciamo anche noi in ambito associativo nazionale, risulta ancora più importante e strategico per la nostra industria, che rischierebbe al contrario di essere fortemente penalizzata».

Colaci, vicepresidente di Confapi Sanità, è convinto che la Dgr 45 debba essere rivista

Michele Colaci, proprietario di 4 Rsa in provincia di Torino e vicepresidente nazionale di Confapi Sanità è convinto che la Dgr 45 debba essere rivista.
Per quaIe motivo?
«Dal 2012 a oggi è cambiato tutto, sotto il profilo economico e sociale. Le famiglie provano a curare molto di più i loro cari a casa e la Rsa è ormai una necessità sanitaria. Quindi i nostri ospiti hanno esigenze molto diverse rispetto a 11 anni fa, senza contare le nuove difficoltà legate all'accoglimento dei pazienti dimessi dagli ospedali».
Quindi il sistema di assistenza, cosi com’è, funziona ancora?
«Per il momento sì. Con tutte le difficoltà del caso, continuiamo ad assistere con professionalità e dignità i nostri ospiti. Rappresentiamo, soprattutto dopo la pandemia, un presidio del territorio in grado di fornire risposte ai bisogni della popolazione. E adesso il Piemonte dispone di un sistema di monitoraggio che non ha eguali in Italia. Però comprendo le problematiche degli operatori e delle operatrici legate a un minutaggio che deve essere adeguato».
Come si può intervenire?
«Le Rsa già in questo momento forniscono servizi aggiuntivi rispetto a quelli riconosciuti dalla Regione, basta pensare alle prescrizioni anti Covid. Però l'emergenza sanitaria, il caro bollette e l'inflazione ci hanno messo in difficoltà e garantire prestazioni di qualificate è sempre più difficile. Noi vogliamo continuare a farlo, ma è necessaria una riforma condivisa, anche con i sindacati. In questa battaglia non siamo contrapposti».
I sindacati segnalano presenza di operatori non formati oppure demansionati. Come si può risolvere questa situazione?
«Prima di tutto senza generalizzare. Il ricorso alle assistenti familiari è stato dettato da un'emergenza e non è vero che si tratta sempre di personale impreparato. Secondo me se la formazione non fosse un’esclusiva delle agenzie regionali e ci fosse la possibilità per le associazioni di categoria di intervenire il problema sarebbe già risolto. Se invece ci sono cooperative che applicano contratti differenti allora vanno denunciate. Anche perché danneggiano chi lavora onestamente».