MAURIZIO CASASCO il Presidente di Confapi - "Questo decreto è un’occasione mancata"
MARIA ROSA TOMASELLO
«Con questo decreto portiamo a casa pochissimo: avevamo bisogno che le tasse fossero spostate di 8 mesi, e sono state spostate di 3 mesi, con un intervento parziale sull'Irap. Avevamo chiesto meno burocrazia e più semplificazione, e non c'è. Avevamo chiesto liquidità attraverso i crediti d'imposta che sono già stati maturati come diritto». Per Maurizio Casasco, presidente della Confederazione italiana della piccola e media industria, un comparto di 80 mila industrie e 900 mila lavoratori, il dl Rilancio è un'occasione mancata in una fase emergenziale in cui, sottolinea, «il 60-70 % delle imprese è in crisi e il 20% rischia di chiudere».
Presidente, dopo settimane di attesa il decreto c'è, ma voi non siete soddisfatti. Perché?
«No, non lo siamo. Siamo in ritardo di 2 mesi, e siamo davanti a un provvedimento parcellizzato. Bisognava mettere a punto un progetto di sistema, puntando sulla fiscalità e su un concetto liberale d'impresa. Bene la cancellazione dell'Irap, una tassa che non ci è mai piaciuta, ma bisognava concentrare le risorse sulla eliminazione della tassazione sino a fine anno».
Sarebbe bastata maggiore liquidità derivata dal taglio delle tasse?
«Sarebbe stata importante. Le imprese non hanno ordini, devono pagare le spese per riaprire in sicurezza, anticipare la cassa integrazione ai dipendenti, e anche pagare le tasse. Ma come si fa? E poi il credito d'imposta andava trasformato in liquidità. Insomma, bene l’Irap ma non è sufficiente. È stato fatto una specie di Def, un provvedimento ordinario in una situazione straordinaria. Non si è capita l'emergenza. Io sono medico: è come se arrivasse al pronto soccorso un paziente che deve andare in chirurgia d'urgenza e gli si chiedessero i documenti. Non c'è tempo. La liquidità avrebbe dovuto essere diretta attraverso Cassa depositi e prestiti e Agenzia delle Entrate, che ha già i dati delle aziende, non attraverso la Sace, che è stata una scelta politica».
Ci sono ecobonus e sismabonus. Un bene per l'edilizia?
«Sì, ma l'ecobonus dovrebbe essere esteso anche ai fabbricati industriali per ampliamenti e ammodernamenti. E in ogni caso nell'edilizia bisognava intervenire sul Codice degli appalti, con una sospensione di sei mesi nei quali si sarebbe potuto fare riferimento al Codice europeo. È una cosa che si può fare per legge, non significa anarchia o infiltrazione mafiosa. L'Europa non può andare bene quando indica restrizioni, e non andare bene quando allarga le maglie. C'è troppa burocrazia: bisogna promuovere l'autocertificazione: ovvero tutto quello che non è vietato è permesso, e intensificare i controlli con sanzioni severe».
Non le piacciono neppure le misure a sostegno delle start up innovative, che in questo momento potrebbero mettere in campo progetti importanti per il Paese?
«Io ho sempre adorato le start-up, ma oggi penso alle aziende che passano di padre in figlio e che potrebbero chiudere, spero che non si ripeta la crisi del 2009. È bello sognare, ma ora è il momento di intervenire per conservare i posti di lavoro che ci sono, difendendo il grande patrimonio italiano fatto dalla piccola e media industria privata».