ALLARME Le associazioni Ue "La filiera è a rischio”
L'Europa a breve sarà "plastic free" (ma non per scelta)
Oramai è assodato, è l'effetto pandemia: ciò che valeva a gennaio 2020, un anno dopo è del tutto capovolto. Anche se non con la declinazione immaginata. Se fino allo scorso anno ancora si parlava della necessità di eliminare la plastica dal pianeta per contrastare la crisi climatica, oggi si elencano i rischi della sua possibile scomparsa e della carenza degli approvvigionamenti: fino al punto - si dice - che a risentirne possano essere le campagne vaccinali per la mancanza del materiale medico utilizzato per realizzarli e delle siringhe per iniettarli. Non aiuta l'aumento dei prezzi ancora in corso, a partire dagli Usa. Secondo le rilevazioni dell'Icis (Indipendent Commodity Intelligence Service), più del 60% del Pvc statunitense è ancora indisponibile, quasi un mese dopo il gelo che ha colpito le reti elettriche di Texas e Louisiana mandando in blocco la catena produttiva. I prezzi delle esportazioni sono quasi raddoppiati fino a raggiungere 1.625 dollari la tonnellata. I prezzi del polipropilene, impiegato per il confezionamento di beni di consumo, sono a livelli record e più del doppio della media 2019-2020. Il costo del polietilene ad alta densità, utilizzato per flaconi di shampoo e sacchetti della spesa, è ai massimi dal 2008: “A lungo termine i prodotti petrolchimici sono destinati a essere la principale fonte di crescita della domanda di petrolio a causa dell'espansione economica e dell'aumento dell'uso di plastica nei beni di consumo a livello globale" spiega il rapporto Oil 2021 dell'Agenzia internazionale per l'energia. Il petrolio e la nafta, utilizzati come materie prime chimiche in Asia e in Europa, rispetto al 2019 saranno quasi il 70% della maggiore domanda di qui al 2026. In Europa, se il 2020 non ha dato grossi problemi, i prezzi hanno iniziato a salire in autunno e molti polimeri hanno iniziato a sparire. Le economie di Cina e India hanno ripreso vigore e con esse gli ordini di materie prime, plastica inclusa. Gli Usa, vista anche la crisi improvvisa del Texas, è stato più restio a esportare. Un problema per l'Ue che si approvigiona soprattutto dall'America e dal Medio Oriente. "In Europa ci sono circa 50mila piccole e medie aziende di trasformazione della plastica, che devono affrontare la carenza di materie prime e i significativi aumenti dí prezzo senza alcuna leva nelle trattative coi produttori multinazionali di polimeri", è l'allarme lanciato nei giorni scorsi dal presidente di EuPC Renato Zelcher: "Se la situazione continua così, sempre più aziende dovranno ridurre la propria produzione, con grossi problemi per alcuni settori come l'industria edilizia o automobilistica". Nel giro di cinque mesi ci sono poi stati rialzi di prezzo superiori al 40% anche per il polipropilene (Pp), che oggi costa più di 1.600 euro per tonnellata, e per il Pet delle bottiglie di plastica (polietilene tereftalato), mentre per il polistirene (Pp) il rincaro sfiora il 70%. Al 19 febbraio la Polymers for Europe Alliance contava ben 27casi di forza maggiore in giro per il mondo, che hanno ridotto soprattutto l'offerta di potiolefine e di Pvc. In Italia a risentirne sono le Pmi: "La carenza di offerta ormai strutturale sta mettendo in crisi le filiere della manifattura italiana, compromettendo le prospettive di ripresa - spiega Maurizio Casasco, presidente di Confapi – E’ evidente ormai che le misure di salvaguardia pensate in un momento storico del tutto diverso da quello attuale debbano essere rimosse o allentate. Le Pmi non riescono in breve tempo a ribaltare i prezzi raddoppiati in pochi mesi: questa prospettiva porterà ad un aggravarsi delle difficoltà finanziarie in molte aziende". C'è, però, anche chi finora non sembra aver avuto problemi: "Noi? - ci dice al telefono una importante azienda che si occupa di materiale medico - Non abbiamo problemi: ci riforniamo di materia finita direttamente dalla Cina".