Intervista a Maurizio Casasco
 
"Un modo per accorciare la catena  del dialogo tra imprese e istituzioni"
 Pietro De Leo
 
 
La radio è uno strumento molto adatto per stare vicino alle nostre imprese sul territorio, ai nostri lavoratori. Per dare loro voce e offrire occasioni di confronto». Così Maurizio Casasco, presidente di Confapi (confederazione italiana della piccola e media industria), presenta «Radio Confapi», emittente web che inizia oggi le sue trasmissioni, ed è ascoltabile scaricando l'applicazione sia su Ios che su Apple oltreché in streaming su radioconfapi.org e confapi.org. Si parte oggi, quindi, con una serie di interviste di primo piano, ai ministri Di Maio, Giorgetti, Orlando e Gelmini, realizzate dalla giornalista Maria Latella. «Si tratta di un modo per accorciare 'la catena del dialogo' tra le nostre imprese e le istituzioni, cosa che Confapi fa da quando è nata, nel 1947", spiega Casasco, che da poche settimane è anche presidente di Cea-Pme, l'organismo omologo che rappresenta le pmi europee che ha 2 milioni di imprese e 18 milioni di dipendenti. Dare voce alle piccole e medie industrie, dunque, nel momento in cui, si spera, cominciamo a ripartire per affrontare la grande crisi Sì, e questo è fondamentale. Le imprese non devono mai sentirsi sole, e dobbiamo mettere in campo tutti gli strumenti mediatici per far ascoltare la nostra voce e portare le nostre istanze. Faccio un esempio: il costo delle materie prime, che è aumentato negli ultimi mesi, basti pensare all'acciaio. E' un tema che va affrontato subito. E poi è anche un modo per ripensare il proprio ruolo, per condividere esperienze e buone pratiche. E guardare più in là.
 
 
A proposito. Negli ultimi anni il concetto di rappresentanza, sia per quanto riguarda il lato datoriale, che il lato sindacale, è stato al centro di un lungo dibattito. Oggi che valore ha?

«Fondamentale, ma bisogna arricchire di nuovi contenuti il concetto di corpo intermedio e la radio va esattamente in questa direzione, perché dà alle imprese l'opportunità di raccontarsi direttamente. E poi vogliamo trasmettere conoscenza, aiutare a capire come va il mondo. Su questa spinta si basa l'investimento in capitale umano, che è il grande obiettivo di prospettiva. A questo proposito le dico che sarebbe bello portare a livello europeo la realizzazione di una televisione e di un giornale che rafforzi il senso sociale e di appartenenza a livello di UE».
 
 
Capitale umano, parola d'ordine.
 
«Sì, assieme alla formazione, sia dell'imprenditore che del lavoratore, monitorandola costantemente, un po' come avviene a scuola. La riqualificazione del personale è un obiettivo che oggi è fondamentale non mancare».
 
 
A proposito di competenze e riqualificazione. C'è una grande questione che riguarda il breve termine, ossia lo stop al blocco dei licenziamenti. La riforma delle politiche attive è centrale.
 
 «Sì, per questo insisto sulla formazione, così come sulla flessibilità nel lavoro. Noi dobbiamo pensare che avremo delle persone senza occupazione ma anche una grande richiesta di lavoro qualificato. Per questo occorre iniziare sin da subito. Pensare a eventuali proroghe del blocco dei licenziamenti senza intervenire su questo non ha senso».
 
 
Uno strumento che avrebbe dovuto rappresentare una chiave di inserimento nel mondo del lavoro è il reddito di cittadinanza. Lei come lo valuta?
 
«Sono sempre stato contrario in linea di principio, ma oggi con tutto quello che è avvenuto con il Covid ne riconosco la funzione di sostegno di contrasto alla povertà. Però accanto al ruolo sociale andava anche salvaguardata l'utilità dello strumento. Ossia far sì che i percettori potessero accedere a lavori utili e richiesti nel pubblico come nel privato. Questo, però, non è avvenuto».
 
 
C'è una scuola di pensiero secondo cui "piccolo non è bello", perché più le imprese sono piccole e meno hanno competitività.
 
«Legittima la suggestione della multinazionale o "multinazionale tascabile". Ma "il piccolo" imprenditore non delocalizza, non fissa la sede legale in Olanda, investe sui propri lavoratori. Nel momento della difficoltà, non ha licenziato, ma ha molto patrimonializzato le sue aziende. Detto questo, però, anche le pmi devono porsi sempre il problema di un management di qualità».