L'Ue sarà acquirente unico di energia e Federacciai si sveglia sui rincari

Dopo mesi di silenzio l'associazione lancia l'allarme: «I prezzi alti compromettono la ripresa». Draghi lancia il nuovo progetto ma la Von der Leyen insiste con le rinnovabili. Affondo di Putin: «Crisi colpa dell'Europa»

La corsa del prezzo dell'energia mina il settore dell'acciaio. L'allarme è arrivato ieri alla assemblea annuale di Federacciai, proprio nelle stesse ore in cui la Commissione Ue cercava almeno di mettere una pezza al problema. Una situazione ancora più grave se si pensa che la produzione di acciaio di suo sarebbe in salute: nei primi otto mesi dell'anno è aumentata del 27% sul 2020, condizionato dalla pandemia, oltre le 16 milioni di tonnellate. Il dato si colloca sostanzialmente in linea con i livelli del 2018 (anno particolarmente buono), superando quelli del 2019 del 6,1%. All'aumento della produzione si è accompagnata una vera e proprio esplosione della marginalità. Un esempio su tutti è quello offerto dal gruppo Marcegaglia che nel primo semestre ha registrato ricavi per 3,6 miliardi, pari a un rialzo del +56% rispetto allo stesso periodo del 2020 e del +40% sul 2019. Le dinamiche nel settore energetico, però, con il prezzo spot dell'elettricità che nel mercato italiano è passato dai 100 euro a megawattora in agosto agli attuali 300 euro/MWh, rischiano di fermare la ripresa. Preoccupazione è stata in particolare espressa da Giovanni Arvedi, presidente del gruppo omonimo, che ha detto: «Il costo dell'energia del nostro Paese è quasi il doppio di quello che pagano gli altri Paesi del Nord Europa. Questa è una situazione iniqua e una concorrenza sleale, un atto di discriminazione». Critico anche Alessandro Banzato, presidente di Federacciai, secondo cui il Green Deal potrebbe generare «asimmetrie competitive» e per questo nella transizione energetica «serve gradualità». Banzato ha poi aggiunto: «Le recenti impennate dei costi del gas e dell'energia elettrica potrebbero frenare, se non compromettere, il trend positivo dell'economia italiana ed europea». Sulla stessa linea anche il presidente di Confindustria Carlo Bonomi: «C'è una impennata dei costi energetici e dei prezzi delle materie prime alle stelle e ci sono difficoltà a reperire materie prime. Siamo fortemente preoccupati». Parole, quelle di Arvedi e Banzato, che però almeno concettualmente non hanno ricevuto sostegno dalle alte sfere della Ue, prima su tutte il presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, che ieri ha ribadito: «Deve essere chiaro che il nostro futuro sono le energie rinnovabili, non il gas». Una presa di posizione sostanzialmente ideologica che sembra non voler prendere in minima considerazione una realtà oggettiva e condivisa dalla quasi totalità degli analisti, e cioè che una responsabilità non di secondo piano nell'alimentare l'attuale crisi energetica è giocata proprio dalle politiche climatiche. Se così non fosse non si verificherebbe oggi una dinamica particolarmente inusuale nel comparto delle materie prime: ossia l'assenza di un aumento delle produzioni pur a fronte dell'impennata dei prezzi. A questo si aggiungono le tensioni geopolitiche e la dipendenza dalla Russia: ieri Vladimir Putin ha respinto le accuse e detto che l'Europa ha commesso errori: «La loro politica è stata quella di rescindere i contratti a lungo termine e quella politica si è rivelata sbagliata». Al momento l'idea dell'Ue è quella di cercare di gestire la crisi rendendo la Commissione europea acquirente unico di energia per tutti gli Stati membri, come ha annunciato ieri durante il vertice Ue in Slovenia Mario Draghi: «Di energia si è parlato molto rapidamente: la presidente ad Atene aveva ventilato la possibilità che la Commissione potesse acquisire un ruolo di acquirente comune come per i vaccini, concetto accolto molto favorevolmente da tutti. La prossima settimana o la successiva la Commissione presenterà una proposta che poi dovrà essere discussa al Consiglio Ue». Il premier poi ha aggiunto: «Non dovremmo essere impreparati ai picchi del prezzo dell'energia». Che Bruxelles rimanga totalmente sconnessa con la realtà lo dimostra anche la gestione dell'annosa questione sulle quote import. Il provvedimento a partire dal 2020 ha acuito la tensione, arrivando a provocare a settembre una congestione nei porti italiani con oltre un milione di tonnellate di acciaio in attesa di essere sdoganate. Congestione che si ripeterà probabilmente già alla fine di questo mese. Il problema è sul metodo più che sul merito. Il sistema di controllo dell'import, partito dal concetto originario di limitare le quantità di acciaio proveniente dai Paesi extra Ue, ha poi subito un ulteriore irrigidimento che si basa sull'applicazione di quote trimestrali suddivise per Paese. Il primo a lanciare l'allarme era stato il presidente di Confapi, Maurizio Casasco: «Occorre ripensare il meccanismo abolendo il calcolo trimestrale basato per Paese e virare verso un sistema basato sul controllo delle quote su base annuale», spiega alla Verità, «inoltre dovrebbe essere permesso che al raggiungimento delle quote da parte di un singolo Paese possa essere garantita una maggiore capienza sfruttando le quote inutilizzate all'interno della voce "other countries". In discussione dunque non è la quantità annuale di acciaio stabilita dalla Ue ma la distribuzione delle quantità che deve essere più libera e non irregimentata in vincoli temporali e geografici che non fanno altro che creare una carenza di materiale».