Santa globalizzazione, quella fatta di pace e affari. Ma ora la guerra manda tutto in frantumi. Maurizio Casasco alla guida delle piccole e medie industrie private di Confapi oltre che della più grande confederazione delle pmi europee, Cea-Pme raccoglie da ogni parte gridi d'allarme. «Le aziende del legno e arredo d'alta gamma esportano il 90% nei Paesi dell'Est. Alcune dovevano partecipare alla fiera di Kiff a Kiev, lo scorso 3 marzo, e hanno spedito a febbraio la merce da esporre per diverse centinaia di migliaia di euro pagando anche la quota di partecipazione. Oggi hanno perso tutto». E ancora: «Molte aziende metalmeccaniche hanno sottoscritto contratti di fornitura con clienti russi ai quali hanno già consegnato parte degli ordini ma ora i pagamenti non ci sono più. Per alcune la situazione è così grave da comportare il default. Ci sono poi le imprese che non riescono ad adempire a un contratto perché, per esempio, non arriva una certa materia prima».
In questi casi si può invocare l'inadempienza per causa di forza maggiore...
«No,il conflitto bellico non è riconosciuto fra le clausole di causa di forza maggiore. Chiediamo che la "causa di forza maggiore" sia riconosciuta anche per il conflitto bellico russo-ucraino».
Come giudicate le misure prese fin quei dal governo?
«Decisamente insufficienti in particolare sulla parte che riguarda i costi dell'energia».
Perché?
«Sono stati mobilitati 4 miliardi mentre i produttori di energia ne hanno avuti 40 di extraprofitti. Positivo l'allargamento dei crediti d'imposta del 12% alle imprese con potenza pari o superiore a 16,5 kW, anche se per le energivore è del 25%. Meglio di niente. Ma sarebbe stato meglio cambiare parametro di riferimento e sostenere le imprese in funzione del rapporto tra costi dell'energia e fatturato: dove i costi dell'energia incidono di più, maggiore sostegno. Inoltre il calcolo del credito d'imposta è fatto sul secondo trimestre: l'agevolazione se va bene darà respiro a luglio».
Le grandi imprese lamentano difficoltà sull'approvvigionamento delle materie prime. Le piccole e medie?
«Voglio denunciare qui un enorme problema legato alla speculazione sull'acciaio. Dal 2015 ci sono dazi che impongono un aumento di prezzo del 25% quando si supera un certo livello di importazioni di acciaio dall'Asia, livello che cambia da Paese a Paese. La misura era stata messa per proteggere la nostra industria dell'acciaio strangolata dai bassi prezzi asiatici. Ma ora quei dazi servono solo a fare lievitare gli utili delle grandi acciaierie. Un oligopolio in piena regola».
Le acciaierie fanno i conti con l'aumento dei prezzi del rottame e del preridotto.
«E’ vero, ma poi riversano gli aumenti moltiplicati per due o per tre sul prodotto di finito. È una follia, governo e Antitrust intervengano».
L'unica materia prima che la preoccupa è l'acciaio?
«Assolutamente no! Abbiamo problemi con cereali, semi di girasole, fertilizzanti. Sarebbe importante non costringere le imprese a cambiare subito le etichette quando sostituiscono in emergenza un ingrediente».
L'inflazione la preoccupa?
«Moltissimo. E la tassa dei poveri e rischia di ridurre la domanda. Bisogna detassare e decontribuire gli aumenti contrattuali, come abbiamo proposto per primi tre anni fa. E poi servono ammortizzatori per chi entra in crisi a causa del conflitto».
II Pnrr va rivisto?
«Sì, più che sulla next generation andrebbe centrato sulla today generation: altrimenti al domani rischiamo di non arrivarci. E poi serve un piano europeo integrativo».
L'Europa incoraggia la riduzione dell'Iva sui beni di maggiore consumo.
«Sarebbe la strada giusta».