Prima gli effetti devastanti della pandemia, con l'emergenza sanitaria e la carenza sempre crescente di personale. Poi l'inflazione e i nuovi carichi burocratici. E adesso arrivano i riverberi della guerra in Ucraina, con l'aumento dei costi dí beni e servizi. Il comparto dell'assistenza sociosanitaria, soprattutto quello non pubblico costituito da enti, fondazioni, cooperative e onlus che gestiscono strutture residenziali per anziani, disabili e persone con disturbi mentali, è in ginocchio e rischia il collasso. L'allarme arriva da tredici associazioni di categoria che hanno inviato un drammatico appello al premier Mario Draghi e ai ministri competenti «perla sopravvivenza» di quelle realtà del Terzo Settore che, accreditate con il Sistema sanitario nazionale (Ssn), garantiscono servizi a circa 200mila soggetti fragili in tutta Italia. Nella lettera, già sul tavolo della presidenza del Consiglio, si sottolinea innanzitutto che «tutti gli operatori si trovano oggi nella impossibilità di coprire i correnti costi di gestione e di procedere ai rinnovi contrattuali in un quadro ormai non più sostenibile di differenziali retributivi con i lavoratori della sanità pubblica, con tabellari inferiori di oltre il 20-25% a parità di mansioni e qualifiche». Perché senza infermieri e "oss", i cui contratti sono in scadenza, i servizi non possono essere erogati a chi ne ha diritto. La questione più rilevante è, dunque, oltre a un possibile e necessario sostegno da parte di Stato e Regioni, quella delle tariffe che «nella maggior parte dei casi sono ferme da più di dieci anni» denunciano Confcooperative, Uneba, Anaste, Legacoop, Anfass, Confapi Sanità e le altre sette associazioni firmatarie del documento. Insomma, i costi aumentano e rischiano di riversarsi sugli utenti. «Venendo meno la sopravvivenza degli enti e delle aziende che gestiscono il settore socio-sanitario, crolla lo stesso modello di welfare» viene rimarcato nell'appello, con il quale si chiede all'esecutivo un incontro urgente «per affrontare insieme le complesse situazioni» oltre alla costituzione di un tavolo di lavoro per studiare i provvedimenti da adottare. «Oltre alla sopravvivenza del settore privato sociale, in gioco c'è la stessa sostenibilità del Ssn - spiega Franco Massi, presidente di Uneba, che riunisce oltre mille enti, quasi tutti non profit di radici cristiane - perché stiamo parlando del non profit, che rappresenta il 60% del totale delle strutture, mentre il 25% è profit e il restante 15% è costituito da realtà gestite da Comuni o Asl le quali, essendo pubbliche, possono ripianare con meno difficoltà i loro deficit. Purtroppo veniamo da dieci anni di tagli e misure restrittive nel settore che pesano in particolare sul variegato mondo del non profit mettendo a rischio spesso la qualità delle prestazioni». Ma saranno in grado le famiglie di sostenere le spese delle nuove rette con il caro bollette e un costante aumento del costo della vita? «Non credo, visto che le cifre potrebbero essere in alcuni casi anche superiori alle pensioni medie. Una cosa è certa, un incremento del debito potrebbe non essere sopportato da molti enti gestori - sostiene Massi -, la situazione è davvero pesante, anzi è drammatica, e al "tavolo" chiederemo impegni affinché il 50% dei costi venga coperto dalle Regioni». Mancano, inoltre, infermieri e operatori sociosanitari, con emorragie continue dalle Rsa verso il settore pubblico, più remunerativo. «La conseguenza è che nelle Case di riposo ci sono più posti letto liberi, proprio perché non c'è personale sufficiente ad accudire gli ospiti - precisa il presidente di Uneba - con le liste di attesa che, paradossalmente, si allungano e migliaia di anziani che invece chiedono di entrare ma devono attendere e non si sa per quanto tempo». E non solo. Gli "over 75" con il Covid non ancora debellato hanno bisogno di cure maggiori e comunque risultano più fragili di prima, l'età media degli ospiti delle Rsa è aumentata e si ammalano di più, anche di patologie come l'Alzheimer che presuppone un'assistenza continua e specializzata. «Eppoi gli standard settimanali di assistenza previsti, che ammonta dalle 12 alle 15 ore per ospite, sono gli stessi di 14 anni fa e andrebbero adeguati - dice Massi - ma come si fa con meno personale?». Il lavoro delle 13 associazioni per avere risposte da parte delle istituzioni è già cominciato. «Ora attendiamo di incontrare i capigruppo parlamentari, ma dobbiamo dire che il problema è sentito anche se non è facile trovare le risorse, nemmeno attingendo al Pnrr, con il quale stiamo buttando via soldi. Un esempio? L"'operazione mattone", ovvero la creazione degli ospedali di comunità, strutture nuove che - denuncia Franco Massi - rischiano di diventare cattedrali nel deserto senza il personale e le attrezzature necessarie a mandarli avanti. E intanto ci si dimentica ancora delle Rsa, realtà presenti sul territorio e già integrate alla rete sanitaria esistente».