«Il Pnrr è una grande occasione, ma i soldi vanno spesi bene». Alessandro Ridolfi, Segretario Generale Confapi Sanità condivide con Il Tempo i suoi dubbi sul percorso del Piano di ripresa e resilienza. «C'è un problema, serio, che riguarda la rete territoriale».
Cosa intende, Ridolfi?
«Se lei va a controllare il tasso di mortalità per Covid, l'Italia è al decimo posto al mondo. Davanti a noi, che siamo stati bravissimi con le vaccinazioni, ci sono Paesi come Guinea, Barbados... Il numero dei morti è dovuto al fatto che se una persona chiamava il medico di medicina generale o chiamava il pronto soccorso, in molti casi passava troppo tempo prima dell'intervento e il paziente peggiorava irrimediabilmente».
Il Pnrr che ricetta propone?
«Ci sono tre pilastri principali. Le case di comunità, l'ospedale di comunità e l'aumento dell'assistenza domiciliare. In linea di massima il principio è più assistenza, meno ospedale. Visto così è senz'altro condivisibile. Ma poi se si passa all'analisi...».
Cosa emerge?
«Le case di comunità sono state pensate come un agglomerato in cui ci sono diversi medici di medicina generale, che sono professionisti autonomi, insieme a specialisti e infermieri dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale. Noi chiediamo al governo al governo di chiarire qual è il ruolo del medico di medicina generale e del pediatra di libera scelta. È un professionista o un dipendente del Ssn? Finché non risolviamo questo nodo, le case di comunità non potranno funzionare perché non ci sarà modo di far coesistere un dipendente pubblico con un professionista privato. Questo è un tema di natura organizzativa».
Cosa si rischia?
«Che non si spendano bene i soldi e non si superino i problemi emersi con il Covid. In più diciamo: nel territorio italiano ci sono circa 5mila strutture private, delle quali circa 1.300 accreditate. Perché invece di fare altre strutture, non abilitiamo queste? Già ci sono. Perché il ruolo del privato in questo senso non può essere preso in considerazione?».