«Abbiamo dimostrato flessibilità e resilienza, ci piacerebbe che il governo ne tenesse conto invece di privilegiare la grande industria».
Parla Cristian Camisa, presidente della confederazione delle Pmi nata 75 anni fa. «Un errore delocalizzare»

 

Cristian Camisa, 48 anni, piacentino, è il neopresidente di Confapi, la Confederazione italiana della piccola e media industria privata.

Un nuovo governo, una Legge di bilancio chiusa a tempo di record, il mondo che si è ribaltato. Che cosa la preoccupa di più?

«Il ritorno dei due blocchi est/ovest crea un problema di rifornimento di materie prime che non sono disponibili a livello europeo. Abbiamo compreso tardi di aver sbagliato a esternalizzare tante attività e adesso si parla di reshoring. Allo stesso modo stiamo capendo solo ora che accelerare sugli obiettivi green rischia di farci chiudere interi settori produttivi».

Quali previsioni fa a breve per l'Italia?

«Nell'ultimo trimestre la situazione è migliore delle attese. Nel 2023 prevedo un inizio più difficile...».

Ottimista, tutto sommato.

«Un minimo di ottimismo è indispensabile. Serve agli investimenti e alle attività di lungo termine. Dopodiché la chiave di tutto sarà la politica energetica. Nel lungo periodo bisognerà raggiungere l'autosufficienza per competere a livello internazionale. Il governo dovrebbe continuare a perseguire il disaccoppiamento del prezzo dell'energia da quello del gas».

Cos'altro si aspetta?

«Il credito d'imposta è stato solo un primo passo. Avevamo chiesto che fosse collegato all'incidenza del costo dell'energia sul fatturato aziendale, perché non è importante il valore assoluto di spesa, che premia in gran parte la grande industria, ma quanto incide percentualmente. E sarebbe stato importante inserire anche un criterio premiante, legato all'obbligo per l'azienda di non utilizzare ammortizzatori sociali».

Come stanno le Pmi?

«In epoca Covid e dopo, con lo scoppio della guerra, la piccola e media industria ha dimostrato grande flessibilità e straordinaria capacità di resilienza. Ha avuto la migliore performance post Covid».

Piccolo è bello?

«Sì, quando la flessibilità si accompagna alla capacità di intrecciare relazioni produttive. Ci piacerebbe che anche le politiche del governo ne tenessero conto».

E non è così?

«No, spesso si privilegia la grande industria. Ma l'Italia non è questa. Non è quello il motore del Paese. Noi durante la pandemia non abbiamo delocalizzato, abbiamo lottato e mantenuto gli occupati, cui ci lega un rapporto che va al di là del lavoro. Siamo delle comunità».

Faccia l'esempio di una misura recente pensata per la grande industria.

«L'energy release, la cessione di quantità di energia elettrica a prezzo calmierato. Per raggiungere la soglia dei consumi annui minimi necessari per accedere alla procedura le Pmi si stanno consorziando in tempi brevissimi. Basterebbe abbassare un po' quella soglia per risolvere parte del problema».

C'è una misura recente che invece onora la sua visione di Pmi?

«Quella sui fringe benefit per i dipendenti che offre loro la possibilità di compensare in parte la perdita del potere d'acquisto. Una misura che sta andando bene. Si potrebbe aggiungervi la decontribuzione e la detassazione degli straordinari».

Con quali risorse?

«La revisione del reddito di cittadinanza comporterà dei risparmi, usiamoli per premiare chi lavora di più».

Anche le Pmi faticano a trovare personale qualificato?

«Sì, quello che manca è la formazione. Vanno bene gli Istituti tecnici superiori e sarebbe da attuare il modello duale tedesco, ma c'è un problema culturale: va rivalutato, a partire dalle scuole, il modello dell'imprenditore. Si è sempre osannata la figura del manager ma è l'imprenditore quello che rischia».

L'immigrazione è una risorsa?

«Sì, ma non la gestiamo. Servirebbe che anche nel nostro Paese si facesse un screening delle competenze lavorative richieste per agevolare un'immigrazione più mirata».

Cosa pensa della Legge di bilancio?

«Ci aspettavamo più coraggio sul cuneo fiscale. Abbiamo apprezzato la decontribuzione per gli under 36».

E i cambiamenti del Superbonus?

«Premetto che è Sempre sbagliato cambiare le normative di colpo: la programmazione per le imprese è tutto. Nello specifico il problema della cessione crediti è gigantesco: molte aziende rischiano di saltare. Chiediamo gradualità».

Il Pnrr la soddisfa?

«Un piano straordinario si nutre di progetti straordinari, invece si è pescato dai cassetti. Siamo pronti a fare di meglio, lanciando progetti territoriali e mettendo a disposizione le nostre competenze per l'attuazione».

Con la Ue la politica dell'attacco paga?

«Non mi pare. Pagano concretezza e saper presidiare la burocrazia, sennò poi ci ritroviamo sorprese sgradite, come la plastic tax».

Confapi festeggia il 75mo anniversario. Con quale slogan?

«"Uniti si vince". Va recuperato il ruolo dei corpi intermedi, come il nostro, che rappresenta 116 mila aziende e un milione di lavoratori: una categoria coesa che parla con una voce sola».