In Senato ha raccontato una «situazione di grande drammaticità», ma a margine dell'audizione, parlando con Il Secolo XIX, il presidente Franco Bernabè dice che Acciaierie d'Italia «a febbraio potrebbe essere al giro di boa, se il prezzo del gas resta ai valori attuali, quasi normali». Con l'arrivo dei 680 milioni iniettati da Invitalia e dei 70 milioni attesi da ArcelorMittal, l'ex Ilva tira più di un sospiro di sollievo. Anzitutto perché i finanziamenti permetteranno di pagare i debiti più importanti, a cominciare dalla bolletta di Snam (208 milioni), alla quale occorre aggiungere i 300 milioni di arretrati verso l'Eni.
I DEBITI
La società del cane a sei zampe aveva deciso di rescindere il contratto di fornitura perché AdI non pagava; Snam era intervenuta come fornitore di ultima istanza, in ragione delle norme che prevedono la fornitura di gas di default per le attività per le quali la fornitura non è interrompibile. «Se l'arretrato non verrà saldato a Snam avverte Bernabé le forniture si interromperanno e l'attività produttiva dello stabilimento di Taranto verrà irrimediabilmente compromessa». Lungi dall'avere risolto i problemi, l'ex Ilva potrebbe però avere superato il peggio. Nel 2022 il gruppo ha dovuto fare i conti con una bolletta energetica pari a 1,5 miliardi, scesa a 1,1 miliardi grazie al meccanismo del fax credit, ma comunque straordinariamente altari spetto ai 200 milioni pagati dal gruppo nel 2019 e 2020. La maggior parte della nuova liquidità servirà a saldare i debiti, ma l'azienda, spiega Bernabè, «non è destinata a ritrovarsi daccapo tra un paio di mesi», come temono i sindacati. «Se il prezzo del gas resta ai livelli attuali, intorno ai 50 euro a MWh, e a febbraio non esplodono i consumi causa freddo, grazie alla proroga del meccanismo del fax credit riusciremo a stare su costi accettabili e questo permetterà di produrre di più rispetto al 2022».
LA GESTIONE
L'equilibrio resta precario, perché il gruppo, non avendo accesso a linee di credito bancarie, lavora per cassa. Fonti tecniche spiegano come funziona: «La materie prime vanno pagate perché altrimenti le navi non le scaricano, con quelle si produce l'acciaio, lo si vende e si aspetta di essere pagati dai clienti per pagare i fornitori». Secondo indiscrezioni, nel 2021 Acciaierie d'Italia registrava «circa 1,3 miliardi di debiti verso fornitori e altrettanti crediti verso clienti». Nel 2022 l'energia ha fatto saltare il banco, caricando i costi (e quindi i debiti) di un miliardo. «Do atto all'amministratore delegato Lucia Morselli di aver condotto l'azienda in una situazione di grande drammaticità - ha detto il presidente in audizione -. La situazione di Acciaierie d'Italia è assolutamente più complessa di tutte quelle che io ho vissuto in precedenza». Morselli «ha dovuto gestire» il colosso dell'acciaio «solo con il flusso di cassa» e di questa situazione finanziaria «ne hanno fatto le spese in gran parte i fornitori». Fra questi la Sanac in amministrazione straordinaria, che ha stabilimenti anche in Liguria e che si è trovata esposta per 20 milioni di euro, di cui solo 9 rientrati alla scadenza dei decreti ingiuntivi. Al Senato i rappresentanti delle industrie manifatturiere aderenti a Confapi hanno lamentato crediti per «40 milioni» e chiesto che lo Stato assuma il «controllo del sito di Taranto».
IL FUTURO
I 750 milioni in arrivo permetteranno all'ex Ilva di tornare a una produzione annua di 4 milioni di tonnellate, livello del 2021, ma non di attivare il piano di rilancio. Per quello serve almeno il miliardo che il governo Meloni ha ereditato dal governo Draghi, il cui versamento è subordinato alla salita di Invitalia in maggioranza in Acciaierie d'Italia. L'ultimo decreto permette a Invitalia di chiedere la conversione in capitale dei 680 milioni: può farlo in qualsiasi momento, ma nessuno sa quando accadrà, chi segue il dossier spera «il prima possibile, perché se lo Stato non sale in maggioranza il rilancio non parte». Il piano di decarbonizzazione di Taranto richiederà 5,6 miliardi di investimenti - «un valore ormai datato, al quale bisognerà aggiungere un dieci per cento di inflazione», spiega il presidente - e un arco temporale di 10 anni, che si concluderà con «l'eliminazione totale delle emissioni climalteranti grazie all'idrogeno». Quattro gli obiettivi: il rispetto dell'ambiente, l'occupazione, la sostenibilità economica e la crescita. «Il problema principale dice Bernabè è rendere compatibili questi quattro fattori». La prima fase comporta «un ulteriore rilevante miglioramento della sostenibilità ambientale dell'area a caldo nel periodo '23-'25» e «l'investimento stimato di questa prima fase è di oltre un miliardo, ma è destinato ad aumentare in seguito al processo inflattivo». La seconda fase consiste «nell'introduzione di un primo forno elettrico alimentato con preridotto e la sperimentazione dell'utilizzo di idrogeno come vettore energetico nel periodo '24-'27»: prevede un investimento di 2,4 miliardi. Nella fase tre l'estensione dell'elettrificazione introdurrà un secondo forno elettrico ('27-'29) e richiederà 1,2 miliardi. «Il completamento dell'elettrificazione» è stimata nel '29-'32 e «anche questo investimento è previsto in circa un miliardo».