La presa d'atto. All'indomani del voto del Parlamento Ue per lo stop dal 2035 alla vendita di auto e furgoni con motore a benzina o a diesel, nel governo emerge la consapevolezza dei rischi che corre l'industria déll'automotive italiana. La reazione istintiva è riaprire la discussione con Bruxelles per un passaggio alla mobilità elettrica meno traumatica. «L'Italia è in ritardo sulla transizione nel comparto auto e dobbiamo accelerare sugli investimenti spiega Adolfo Urso, ministro dell'Industria e del Made in Italy ma tempi e modi che l'Europa ci impone non coincidono con la realtà europea e soprattutto italiana». Una constatazione che Urso correda con le cifre che riassumono la complessità della partita. «In Italia ci sono 36.000 punti di ricarica contro i 90.000 dell'Olanda. Dobbiamo confrontarci con l'Europa. Nell'automotive lavorano 250.000 persone, con questi tempi e queste modalità c'è un rischio occupazione». Una stima degli effetti del provvedimento adottato a Bruxelles è fornita da Confapi. «Lo stop ai motori endotermici dal 2035 metterà in difficoltà le piccole e medie industrie italiane. Sono a rischio, infatti, oltre 2.200 aziende e 195.000 posti di lavoro», osserva Corrado Alberto, vicepresidente di Confederazione della piccola e media industria. A intervenire per conto del governo è anche il ministro degli Esteri e vicepremier, Antonio Tajani. «Sono un grande sostenitore dell'auto elettrica ma gli obiettivi ambiziosi vanno raggiunti sul serio, non solo sulla carta. L'Italia avanzerà una sua controproposta: limitare la riduzione al 90%, dando la possibilità alle industrie di adeguarsi», sottolinea Tajani, ricordando: «Noi dobbiamo difendere la nostra industria automobilistica». 11 centrodestra è, insomma, compatto contro il voto dell'Europarlamento, mentre dalle fila del Pd Stefano Bonaccini invita ad «avere coraggio» nel governare la transizione perché «c'è tutto il tempo di accompagnare queste trasformazioni». Dalla ex capitale dell'auto a parlare è il presidente dell'Unione Industriale di Torino, Giorgio Marsiaj. «Speriamo che si possa recuperare una soluzione di equilibrio. Gli spazi per mediare ci sono, basta volerlo. Non ha senso imporre una soluzione tecnica sapendo che ci mette nelle mani di fornitori cinesi (per le batterie, ndr). Bisogna trovare una soluzione che non ci metta nelle condizioni di dipendenza in cui ci siamo trovati con il gas russo». Un ulteriore allarme è segnalato da Federcarrozzieri: le riparazioni delle auto elettriche saranno più care (fino al +30%) rispetto alle auto a benzina o diesel.