Lasciamo da parte per un attimo i milioni di posti di lavoro persi (per Confapi solo in Italia sono 195mila), le migliaia di aziende distrutte (2.200 le nostre) e il rischio dell'effetto Cuba, con le strade piene di macchine sempre più vecchie. D'altro canto, la difesa dell'ambiente non è negoziabile. Ebbene, volete sapere quale straordinario contributo alla lotta al cambiamento climatico darà l'Europa spegnendo le auto a combustione? Prendete carta, penna e una calcolatrice. Sul sito del Parlamento europeo trovate numeri da far venire i capelli dritti. Si legge che il settore dei trasporti è responsabile del 30% delle emissioni di CO2, di cui il 72% arriva proprio dal trasporto stradale. Sul banco degli imputati, manco a dirlo, ci sono le automobili, che generano il 60% del totale. Ora, teniamo a freno il panico e ragioniamo. Sappiamo (ce lo dice il sito dell'European Environment Agency), che nel 2019, ultimo dato disponibile, il trasporto di tutta la Ue ha emesso 0,825 miliardi di tonnellate di CO2. Il 60% fa dunque 0,501. Certo, mezzo miliardo di tonnellate non è uno scherzo. Se però lo confrontiamo con la quantità globale di anidride carbonica immessa nell'atmosfera in tutto il mondo, che ammonta secondo l'International Energy Agency a 50 miliardi di tonnellate, scopriamo che quel valore è un granello di sabbia, appena l'1% del totale. Basterà a dare una svolta al surriscaldamento globale? I GRETINI CALIFORNIANI Ne sono pochissimo convinti gli esperti dell'Università della California, stato americano supergreen che prende le questioni climatiche più sul serio di Greta Thunberg. Secondo uno studio pubblicato lo scorso gennaio, a cui hanno collaborato anche la rete di accademici Climate and Community Project, tra le emissioni di CO2 provocate dal reperimento di grandi quantità di minerali come litio, cobalto e nichel, la cui estrazione comporta tra l'altro consistenti darmi sociali e ambientali, e quelle relative alla produzione di veicoli elettrici e alla manutenzione di strade, autostrade e parcheggi dove farli circolare e tenerli fermi, il verdetto finale è che sostituire i veicoli a benzina e diesel con quelli alimentati a batteria «è incompatibile» con l'obiettivo di impedire al pianeta di riscaldarsi di oltre 1,5 gradi rispetto ai tempi preindustriali. L'unica soluzione, suggeriscono i gretini della West Coast, è quella di rinunciare del tutto all'auto: spostamenti a piedi, in bicicletta e trasporti pubblici. E quindi, che facciamo? In Italia, tranne che dalle parti del Pd e dei Cinquestelle, che hanno votato il provvedimento e sostengono il diktat green (fregandosene di lavoratori e metalmeccanici che dovrebbero essere nel loro cuore), è scattato il panico. Le imprese snocciolano numeri catastrofici paventando il rischio di deindustrializzazione. Per il ministro delle lmprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, il percorso tracciato dalla Ue per l'Italia è semplicemente impossibile «La strategia», ha spiegato ieri, «è accelerare sugli investimenti, sulle nuove tecnologie, sugli stabilimenti, sulla filiera delle batterie elettriche, sulla realizzazione di colonnine elettriche. Ma siamo in estremo ritardo. In Italia ci sono 36mila punti di ricarica a fronte dei 90mila della piccola Olanda. Negli anni passati si è fatto poco». Insomma, oltre a scoprire che il sacrificio non serve a nulla, ora scopriamo anche che chi lo ha appoggiato in Europa, dem e soci, negli ultimi dieci armi (di cui circa otto passati a Palazzo Chigi) non ha fatto nulla per rendere possibile una transizione ecologica non suicida. «Solo nel distretto torinese per l'indotto si contano oltre 700 aziende (un terzo del totale nazionale), con 60 mila persone occupate e un fatturato di 17 miliardi all'anno. Non possiamo permetterci di smantellare l'esistente in nome di un'ideologia green miope e ottusa, che fissa per noi date e limiti senza preoccuparsi dell'economia dei territori: così facciamo solo un gigantesco regalo alla Cina, il principale produttore di batterie elettriche e il principale Paese inquinatore al mondo», tuona il presidente della Commissione attività produttive della Camera, il leghista Alberto Gusmeroli. Nel frattempo negli Usa se la ridono. Non all'Università della California, forse, ma alla Casa Bianca, dove in cambio di succulenti sussidi (quelli che Bruxelles si rifiuta di mettere sul tavolo), sono riusciti a convincere Elon Musk ad aprire le sue 7.500 stazioni di ricarica per le auto elettriche a tutti i produttori.