Sono 35 mila i lavoratori impiegati nel mondo delle case di riposo a Torino e provincia, in oltre 300 strutture

L'intervento di Confapi a difesa delle attività assistenziali e dei posti di lavoro

IL CASO
MASSIMILIANO RAMBALDI
 
Sono 35 mila i lavoratori impiegati nel mondo delle case di riposo a Torino e provincia, in oltre 300 strutture. Un esercito di operatori, cuochi, impiegati e professionisti che dopo la fine dell'emergenza rischia ripercussioni occupazionali. Il virus sta mettendo in ginocchio il settore: soprattutto la fiducia legata al modello assistenziale offerto. C'è un clima di diffidenza. Molti lavoratori potrebbero rimanere disoccupati nei prossimi mesi. A lanciare l'allarme è Michele Colaci, numero due nazionale Confapi e presidente del cda della casa di riposo «Villa Maria» di Sangano: «Nemmeno il 10% delle strutture esistenti è coinvolto dal dramma Covid. Non può passare il concetto che tutte siano diventate lazzaretti. Se qualcuno avrà commesso degli errori le indagini lo diranno». Demonizzare tutto il comparto è sbagliato: «Ci possono essere stati errori di comunicazione ai parenti rimarca Colaci -, ma riguarda sempre e solo il modus operandi dei singoli. I dati di mortalità nelle case di riposo rapportati al primo trimestre 2019 sono chiari». Ossia? «A Torino i deceduti sono 351, l'anno scorso 322. Nell'Asl To3 sono 395, contro 318; nell'As1To4 cento in più: 350 anziché 250 dell'anno prima. Accertati covid: 45. Nel territorio di Chieri, Moncalieri e Carmagnola invece siamo a 232 decessi, contro i 205 del 2019». E poi i tamponi fatti, dato sempre aggiornato ai primi tre mesi. «A Torino 1093, con 207 positivi, 201 negativi e 595 in attesa responso. Nell'ASl To3, 890 tamponi fatti, 166 positivi, 117 negativi e 600 in attesa. Nel chivassese 1022 tamponi, 327 positivi, 429 negativi e 266 in attesa. Sono numeri che sconfessano il disegno delle Rsa come luoghi di contagio e morte da virus». Villa Maria a Sangano è una di quelle che finora ha resistito al virus. All'entrata è obbligatorio mettere il camice, mascherina, lavarsi le mani con il detergente e farsi provare la febbre, oltre che la saturazione respiratoria. Qui i tamponi non sono ancora arrivati: «Tra i nostri ospiti, una cinquantina, nessuno ha sintomi. Non abbiamo urgenza di test: certo se arrivano non ci dispiace, ma capisco che la priorità vada altrove». Il rapporto con rasi To 3 è quotidiano: «Il direttore di struttura e amministratore delegato Fausta Caputo, insieme al responsabile sanitario Francesco Corcelli, che ringrazio per il lavoro svolto, sono in contatto costante per qualunque eventuale anomalia. Siamo comunque pronti, nel caso il virus arrivasse». E come? «Abbiamo edifici separati, con entrate indipendenti. Possiamo isolare facilmente chi venisse contagiato. Oltre che trasformare la palestra, per esempio, in stanza covid». Per gli ospiti, non poter vedere i parenti è pesante: «Non abbiamo smesso con le attività spiega Colaci -, grazie anche all'impegno pazzesco di tutti i nostri operatori e infermieri. La fisioterapia continua e si sono moltiplicati i momenti di convivialità: qualcuno si è anche disegnato e colorato il proprio segnaposto al tavolo. Si cerca di tenere alto il morale». Come si difende una rsa dal virus?: «Applicando i protocolli di Asl, ministero e unità di crisi. Nessuno poteva essere preparato dalla sera alla mattina a quello che è capitato».