INTERNAZIONALIZZAZIONE E CRISI SANITARIA, LE IMPRESE A UN BIVIO

L’internazionalizzazione può essere definita come “Il processo di adattamento di una impresa, un prodotto, un marchio, pensato e progettato per un mercato o un ambiente definito, ad altri mercati o ambienti internazionali, in modo particolare altre nazioni e culture". Ne abbiamo parlato con Lino Di Betta – Consigliere di Confapi Emilia e delegato all’Internazionalizzazione - muovendo dalla consapevolezza, nostro malgrado, che sullo scenario delle prospettive di export e sui processi di internazionalizzazione delle PMI peserà fortemente la crisi economica che la pandemia sta generando.

Perdurando questa situazione che di fatto penalizza in generale le imprese esportatrici manifestando un paradosso: fino a tutto il 2019 fare export era un forte asset delle imprese e ora invece rischia di diventare un handicap se non si interviene urgentemente a supporto delle imprese.

Sig. Di Betta, quale impatto ha avuto la pandemia sul processo di internazionalizzazione delle Piccole e Medie Imprese?

Dopo oltre 10 anni di crescita ininterrotta registriamo un’inevitabile riduzione dell’export che ci porta a disegnare uno scenario economico internazionale fortemente negativo. Nel 2019 l’export italiano aveva registrato una crescita del 2,3% e la bilancia commerciale un saldo positivo di 53 miliardi di euro. Nel 2020, le esportazioni italiane subiranno una brusca frenata e chiuderanno l’anno in flessione del 12%, a prezzi costanti, per poi crescere del 7,4% nel 2021 e del 5,2% nel 2022, anno su anno (quanto emerge dalla XXXIV edizione del Rapporto sul commercio estero L’Italia nell’economia internazionale realizzato dall’Agenzia ICE in collaborazione con Prometeia, Istat, Fondazione Masi, Università Bocconi e Politecnico di Milano). È indispensabile un intervento urgente a supporto del “sistema paese” per rafforzare il Made in Italy e in particolare le PMI che, generano il 50% del nostro export e rappresentano il 90% del imprese italiane.

A suo parere Sig. Di Betta, l’internazionalizzazione continuerà ad assumere carattere strategico per la ripresa economica?

Partiamo con il dire che non c’è impresa forte senza quote di export significative, e per significativo si intende superiore al 50% rispetto al volume totale generato. Quindi sicuramente si. Lo dimostra il fatto che le imprese che esportano hanno dimostrato comunque di essere più forti anche nell’emergenza della pandemia. Per le motivazioni di cui sopra, il dato che va evidenziato è che nonostante le potenzialità della nostra industria, della propria capacità di produzione e trasformazione delle materie prime/semi lavorati, solo i 6,6% circa delle nostre aziende (al netto delle ditte individuali) stanno vendendo all’estero.

Perché le aziende italiane continuano ad avere molte incertezze nell’affrontare un processo di internazionalizzazione?

Iniziamo con il dire che esportare quote superiori al 50%, quindi di fatto avere un’impresa internazionale è prima di tutto una cultura aziendale, una mentalità, qualcosa che deve iniziare a far parte del DNA dell’impresa. Spesso si fraintende il vendere all’estero dei prodotti con l’internazionalizzare l’impresa. Sono due attività diverse, la prima richiede “solo” il trovare clienti e quindi fornirgli un prodotto. La seconda è più radicale ed insita nelle imprese export oriented. Imprese che pensano e agiscono pensando ai mercati esteri prima ancora che a quello domestico.

Sono principalmente tre i motivi che da sempre tendono a rallentare il processo decisionale aziendale che può portare, soprattutto le piccole e medie imprese ad affrontare nuovi mercati:

  1. difficoltà ad individuare professionisti e partner locali adeguati ai quali affidare la gestione della propria azienda con il fine di realizzare investimenti mirati;
  2. la mancanza o la scarsa conoscenza dei mercati esteri: l’analisi del mercato, della clientela, dell’appeal del prodotto sono attività propedeutiche e indispensabili per il successo ma non semplici da porre in atto;
  3. la complessità della normativa import/export, le barriere doganali e logistiche con la mancanza di una struttura aziendale adeguata a tali bisogni.

Per una Piccola e Media Impresa tradizionalmente abituata a vendere in Italia, guardare al mercato estero, anche per la mancanza al proprio interno di personale specializzato, può rappresentare una sfida complessa perché potrebbe comportare la necessità di modificare il proprio modello di business. Modifiche che prima di tutto riguardano la forma mentis dell’imprenditore. In questa fase assume, a mio parere, un ruolo strategico e determinante l’associazione di categoria datoriale, come Confapi Emilia, in grado di supportare con il proprio staff e consulenti certificati le PMI associate in questo non più procrastinabile processo di trasformazione. Confapi Emilia ha volontà di strutturare sempre meglio il servizio, la consulenza da dare alle imprese associate e che manifestano desiderio di sviluppare gli aspetti legati all’internazionalizzazione. Abbiamo certezza che dovrà essere un servizio sempre più specializzato ed in grado di condurre l’imprenditore all’estero eliminando quelle barriere spesso di conoscenza che oggi ostacolano questo percorso. Siamo consci del fatto che in Emilia-Romagna abbiamo un numero considerevole di Piccole e Medie Imprese con prodotti eccellenti che sicuramente potranno trovare acquirenti in giro per il mondo. Si tratta di prenderne tutti coscienza ed iniziare il percorso.

Quanti anni ci vorranno a suo parere per tornare ai livelli di export che abbiamo registrato nel 2019?

Difficile fare previsioni in questa fase caratterizzata dall’incertezza legata alla forte ripresa dei contagi a livello mondiale. Provo, tuttavia, a dare una risposta partendo dai dati che emergono dalla XXXIV Edizione del Rapporto sul Commercio Estero “l’Italia nell’economia internazionale”- risultati 2019 e previsioni 2020-2022 - nella quale, dal punto di vista delle categorie merceologiche, i cali più importanti nel 2020 sono previsti nei mezzi di trasporto, con l’import mondiale di autoveicoli e moto in contrazione del 16% a prezzi costanti e una domanda globale di cantieristica in forte flessione (-12%). Il ridimensionamento potrà essere più contenuto nei settori meno ciclici e favoriti nel paniere di spesa associato all’emergenza, quali la chimica farmaceutica (-9,6%), l’alimentare e bevande (-10,6%) - con una forte contrazione della domanda del canaleHo.Re.Ca – e elettronica ed elettrotecnica (- 10% circa).

Il quadro delineato non è molto incoraggiante, tuttavia, come precisato da Carlo Ferro - Presidente ICE - più che ragionare sui numeri è ora importante orientare l’azione combinando reazione e visione perché le sfide di oggi si giocano in un contesto globale diverso dal passato. Digitale, innovazione e sostenibilità sono le parole chiave per rivolgersi alle nuove generazioni di consumatori globali. Ci rialzeremo molto presto, sono convinto che l’imprenditore italiano abbia una marcia in più rispetto ai competitors internazionali; ha la necessità di essere supportato dal sistema Paese,  sicuramente di più di quanto sia stato fatto sino ad ora. Sono certo che nei prossimi tre anni saremo capaci di tornare ai livelli di pre-crisi. Molti come noi stanno approfittando di questo periodo per poter rimettere le aziende sul mercato in maniera più competitiva affinando strategie, prodotti e servizi, preparando le aziende al post pandemia. Noi nel nostro gruppo lo stiamo facendo: servono idee e coraggio; sapremo ancora una volta dare il meglio di noi, ne sono certo. E il supporto di Confapi Emilia sarà fondamentale.