«Ecco i 3 motivi che frenano le Pmi a puntare all' estero»

 INTERVISTA A LINO DI BETTA DI CONFAPI EMILIA

«Difficoltà a trovare partner e professionisti sul posto, la scarsa conoscenza dei mercati stranieri e la complessità delle norme». «Ma ci sono le soluzioni» L' internazionalizzazione delle piccole e media imprese è un tema di stretta attualità, esigenza sempre più pressante per tante Pmi. Ne abbiamo parlato con Lino Di Betta, consigliere di Confapi Emilia e delegato all' internazionalizzazione, oltre che Ceo di Ro&Co, azienda reggiana di impianti per l'automotive. Di Betta, quale impatto ha avuto la pandemia sul processo di internazionalizzazione delle Pmi? «Dopo oltre 10 anni di crescita ininterrotta registriamo un'inevitabile riduzione dell' export. Nel 2020 le esportazioni italiane subiranno una brusca frenata e chiuderanno l'anno in flessione del 12%, per poi crescere del 7,4% nel 2021 e del 5,2% nel 2022. È indispensabile un intervento urgente a supporto del sistema Paese per rafforzare il Made in Italy e in particolare le Pmi, che generano il 50% del nostro export e rappresentano il 90% del imprese italiane». L' internazionalizzazione continuerà ad assumere carattere strategico per la ripresa economica? «Non c' è impresa forte senza quote di export significative, e per significativo si intende superiore al 50% rispetto al volume totale generato. Le imprese che esportano hanno dimostrato comunque di essere più forti anche nell' emergenza della pandemia». Perché le aziende italiane continuano ad avere molte incertezze nell' affrontare un processo di internazionalizzazione? «Esportare quote superiori al 50%, quindi avere un' impresa internazionale, è prima di tutto una cultura aziendale, una mentalità, qualcosa che deve far parte del Dna dell' impresa. Spesso si fraintende il vendere all' estero dei prodotti con l'internazionalizzare l'impresa. Sono due attività diverse, la prima richiede solo trovare clienti e quindi fornirgli un prodotto. La seconda è più radicale e insita nelle imprese export oriented. Imprese che pensano e agiscono pensando ai mercati esteri prima ancora che a quello domestico». Perchè molte aziende sono incerte e restie a lanciarsi verso l' estero? «Sono principalmente tre i motivi che da sempre tendono a rallentare il processo decisionale aziendale in questa direzione: in primo luogo difficoltà a individuare professionisti e partner locali adeguati ai quali affidare la gestione dell' azienda per realizzare investimenti mirati; poi la mancanza o la scarsa conoscenza dei mercati esteri: l' analisi del mercato, della clientela, dell'appeal del prodotto sono attività propedeutiche e indispensabili per il successo ma non semplici da porre in atto; infine la complessità della normativa import/export, le barriere doganali e logistiche con la mancanza di una struttura aziendale adeguata a tali bisogni. Per una Pmi tradizionalmente abituata a vendere in Italia, guardare al mercato estero può rappresentare una sfida complessa. In questa fase assume un ruolo strategico l' associazione di categoria datoriale, come Confapi Emilia, in grado di supportare con il proprio staff e consulenti certificati le Pmi associate in questo processo». Quanti anni ci vorranno per tornare ai livelli di export del 2019? «I cali più importanti nel 2020 sono previsti nei mezzi di trasporto, con l'import mondiale di autoveicoli e moto in contrazione del 16% e una domanda globale di cantieristica in forte flessione (-12%). Il ridimensionamento potrà essere più contenuto in settori quali la chimica farmaceutica (-9,6%), l'alimentare e bevande (-10,6%), con una forte contrazione della domanda del canale Ho.Re.Ca., elettronica ed elettrotecnica (- 10%). Digitale, innovazione e sostenibilità sono le parole chiave per rivolgersi alle nuove generazioni di consumatori globali. Ci rialzeremo molto presto, sono convinto che l'imprenditore italiano abbia una marcia in più rispetto ai competitor internazionali; ha la necessità di essere supportato dal sistema Paese, sicuramente di più di quanto sia stato fatto sino ad ora».