Rsa senza medici e infermieri - «Scelgono la sanità pubblica»

L'allarme di Confapi e Anaste: vengono offerti contratti migliori In difficoltà le strutture medie (60 posti letto) e piccole (30)

Buona parte delle Rsa del Piemonte corre il rischio di rimanere senza infermieri. E questo significa che sarà difficile fornire un'adeguata assistenza agli ospiti presenti nelle strutture». Michele Colaci, vicepresidente di Confapi Sanità, non nasconde le proprie apprensioni per un comparto messo a dura prova dalla pandemia. Lasciato alle spalle il periodo buio dei primi mesi del 2020, quando le Rsa sono finite sotto accusa per i tanti morti causati dal Covid, adesso si guarda al futuro. Ma restano dubbi e incertezze. A preoccupare è la carenza di personale. Un problema endemico, ma che ora rischia di acuirsi. I fattori che determinano questa sofferenza sono molteplici: quel che è certo è che si registra una fuga del personale infermieristico dalle Rsa. «La sanità pubblica negli ultimi tempi offre contratti vantaggiosi in virtù della particolare situazione emergenziale. Una scelta legittima, ma restano risorse sottratte all'assistenza sociosanitaria privata», spiega Colaci. «Sono circa 1.800 gli infermieri assunti da Aso e Asl senza essere collocati in distacco — sottolinea Michele Assandri, presidente di Anaste —. E questo mette in difficoltà le nostre strutture. Mancano anche professionisti di medicina generale disponibili a prendersi cura degli ospiti in maniera sistematica». Le stime regionali dicono che nel prossimo triennio saranno necessari almeno tremila nuovi infermieri anche per implementare l'assistenza domiciliare che durante la pandemia ha mostrato tutte le proprie lacune. Numeri che si scontrano con la scarsa offerta da parte del sistema formativo universitario. «E’ necessario ripensare la formazione. Si tratta di superare la regola del numero chiuso per l'accesso alla facoltà: se non lo si vuole abolire, almeno si allarghi la platea di coloro che possono accedere», suggerisce Colaci. A incidere c'è il tema vaccinazioni. Sarebbero circa 2 mila gli infermieri e gli oss piemontesi non immunizzati che lavorano nelle strutture per anziani: rappresentano circa il 5 per cento dei dipendenti. «Non abbiamo ancora gli elenchi e quindi nessuno è stato sospeso — chiarisce Colaci . La Regione è in grave ritardo: i nominativi avrebbero dovuto arrivare ad aprile, poi sono sorti problemi legati alla privacy. Sta di fatto che il personale non vaccinato continua a lavorare. E questo è un problema per la sicurezza dei dipendenti e degli ospiti, che sono soggetti fragili e devono essere tutelati». Nonostante le tante difficoltà, il settore sta cercando di superare la crisi iniziata 18 mesi fa: prima a causa del virus che ha colpito gli ospiti con una vera strage, poi del blocco degli ingressi (ancora oggi pochi). «Siamo al 78 per cento dei posti occupati — calcola il vicepresidente di Confapi --, ancora lontano da quel 90 per cento pre-pandemia. Da poco le unità di valutazione geriatrica hanno ripreso a disporre gli accessi nelle Rsa, ma siamo distanti da un equilibrio economico. Inoltre, ci sono strutture che non possono accettare ospiti perché non hanno infermieri». La situazione è più critica per le Rsa di medie dimensioni (circa 6o posti letto). «E’ drammatica per quelle piccole (circa 30 posti letto) — chiosa il presidente di Anaste . Per un centinaio di strutture piemontesi si prospetta la cessazione dell'attività a fine anno».