Nonostante la complicata congiuntura internazionale che ha caratterizzato la prima parte del 2022, dal tessuto produttivo bresciano arrivano numeri confortanti, che testimoniano una buona capacità di far fronte ai problemi derivanti dall'impennata dei prezzi delle materie prime.
BUONA TENUTA
La resilienza dell'economia provinciale traspare dai numeri forniti dall'indagine del Centro Studi Apindustria Confapi Brescia, che ha preso in esame l'andamento delle pmi provinciale basandosi su un campione di 100 aziende, appartenenti per quasi la metà (47%) al settore metalmeccanico. Ebbene, il 63% delle realtà coinvolte nell'indagine ha dichiarato di aver registrato un fatturato in crescita nei primi tre mesi di quest'anno mentre includendo anche chi ha mantenuto stabile il proprio giro d'affari si arriva a toccare quota 80%.
Valori simili, anche se leggermente inferiori, per le pmi che riportano un aumento della produzione (61%) e degli ordinativi (56%). L'Italia è il mercato più in espansione, con quasi 7 imprese su 10 che incrementano il proprio fatturato e più di 6 su 10 gli ordinativi. Meno rosea la situazione sui mercati esteri (soprattutto quelli extra Unione europea), dove fatturato e ordinativi risultano in crescita solo per il 43% del campione. Riscontri sostanzialmente positivi anche per quanto riguarda l'andamento dell'occupazione: la forza lavoro è stabile per il 71% del campione, mentre il 25% ha riferito di un ampliamento del proprio organico. Si nota poi come le tante difficoltà non abbiano scalfito troppo la propensione a investire, in aumento o stabile per il 91% delle pmi. L'Italia rappresenta un approdo significativo per le pmi bresciane, con una espansione degli investimenti nel 36% dei casi.
LE NOTE DOLENTI
La sostanziale tenuta del sistema Brescia non deve però illudere troppo, anche perché l'indagine fotografa un lasso di tempo nel quale non si erano ancora del tutto manifestati gli effetti economici devastanti della guerra in Ucraina. Ben 9 imprese su 10 hanno dichiarato un aumento dei costi della produzione. L'impennata è evidentemente legata al rally delle materie prime: per il 79% il costo è aumentato in modo marcato (oltre il 2%), per il 14% in maniera contenuta. Dati simili anche sul fronte del caro bollette: spesa per l'energia aumentata in modo marcato per l’80% del campione e in modo contenuto per l’11%. Come conseguenza, più di 8 imprese su 10 hanno rivisto al rialzo i propri tariffari, in risposta alle pressioni provenienti dai mercati a monte. Gli aumenti sono stati per lo più marcati (oltre il 2%) anche se non tali da rispecchiare a pieno le variazioni avvenute sui costi. Una parte non trascurabile degli aumenti sembra dunque essere stata assorbita dalle stesse imprese, che di conseguenza hanno visto comprimere le proprie marginalità. Queste dinamiche stanno condizionando e influenzando anche le politiche aziendali sulle scorte, giudicate stabili dal 56% degli intervistati, anche se poco meno di 3 realtà su 10 hanno riferito di livelli bassi. Poco meno di 7 realtà intervistate su 10 ha dovuto o ha intenzione di fare maggiori scorte: una strategia per tutelarsi dalla variabilità di prezzi e dalla ridotta disponibilità di materie prime. Queste tensioni sono avvertite maggiormente sui materiali che provengono dal territorio nazionale.