Riportare industria e manifattura al centro è l'obiettivo di Fabrizio Cellino, neo presidente di Api Torino. Imprenditore dell’automotive, 51 anni, è al secondo mandato alla guida delle pmi torinesi, che aveva già capitanato tra il 2009 e il 2014, per lui, quindi un ritorno, dopo il doppio mandato di Corrado Alberto, imprenditore del caffè.

Presidente, come mai questo ritorno?
«Ho sentito la necessità di tornare perché ho colto da parte di industriali e imprenditori la necessità di riportare al centro del dibattito l'industria, la manifattura e il lavoro».

Cosa significa?
«Insieme all'edilizia, la manifattura è trainante rispetto a tutte le altre filiere. Se riparte questo settore, riparte anche il resto. L'Italia è ancora il secondo Paese manifatturiero in Europa, dopo la Germania, e per alcuni cluster è primo. Lì sta la forza del nostro Paese e anche il nostro vantaggio: sarebbe un peccato continuare a perderlo. Se creiamo ricchezza nella manifattura, la portiamo anche nei servizi, nel commercio, nel turismo, nella sanità, nella ristorazione e via dicendo».

Le sembra che ci sia convergenza sul suo obiettivo?
«Finalmente ritrovo anche nelle istituzioni un rinnovato interesse, dopo anni in cui sentivo dire di voler sostituire la manifattura con i servizi. Un'assoluta stupidaggine».

Nel governo coglie la stessa determinazione?
«Il governo deve usare bene i fondi del Pnrr per fare strategie di medio e lungo periodo: piani ventennali, come fanno i cinesi, per capire dove si vuole arrivare. Non chiediamo l'elemosina, ma abbiamo bisogno di rimanere competitivi in Europa, altrimenti il gap è destinato ad aumentare. Servono interventi sul cuneo fiscale, a partire dalla decontribuzione degli aumenti contrattuali e uno sforzo sull'autonomia energetica».

Teme l'impatto sulle aziende dei costi di energia e materie prime?
«L'impatto c'è e ci sarà ancora. Servono piani per non dipendere troppo dall'estero: per quanto riguarda le materie prime si può far poco, ma su energia e gas qualcosa sì. Il governo sta facendo degli sforzi, ma si deve insistere sulle fonti alternative».

L'automotive è il suo settore: il tessuto imprenditoriale torinese è pronto per affrontare la transizione ecologica?
«I nostri imprenditori sono molto capaci e abituati a essere flessibili, ma non siamo comunque pronti alla transizione di cui si parla. Peraltro, io sono del tutto d'accordo sulla necessità di abbattere l'inquinamento, ma non credo che il full elettric sia la sola strada giusta. Ci sono anche altre tecnologie, a partire dall'idrogeno. Puntare solo sull'elettrico significa dare un grande potere alla Cina».

Condivide i timori di aziende e sindacati sulla tenuta del sistema?
«Sì, e penso che dovremmo far convergere in Italia, e in Piemonte, grandi fabbriche impegnate nella componentistica delle batterie, per permettere, almeno a una parte delle imprese, di avere la possibilità di convertirsi, altrimenti assisteremo a una riduzione di occupazione».

Con Intel c'è una trattativa aperta per la gigafactory
«Il Piemonte si è candidato, vedremo come va a finire. Anche sull'intelligenza artificiale, Torino era candidata e alla fine abbiamo perso buona parte di ciò che avremmo voluto».

La lobby deve fare di più?
«Finora non ha funzionato molto, anche se adesso intravedo tra Comune e Regione un'interlocuzione proficua, per il bene del sistema imprenditoriale. Spero che vogliano remare nella stessa direzione. Le associazioni datoriali, come la nostra, sono pronte a fare la loro parte, per mediare e aiutare».

Quali sono gli obiettivi del suo mandato?
«Aumentare la rappresentanza degli associati e offrire maggiori tutele alle nostre imprese. Vorrei vedere crescere Api, non solo per i servizi che dà, ma in una logica lobbistica trasparente in grado di creare ricchezza e lavoro»

Dieci anni fa, con il presidente degli industriali Carbonato parlavate di fusione tra le due associazioni: è ancora attuale?
«Eravamo nel post della crisi del 2009: si pensava che l'unione facesse la sopravvivenza, nemmeno la forza. Oggi è tutto cambiato, non credo che ci siano presupposti per una fusione, ma certo siamo chiamati a battaglie comuni».

Cosa pensa dei piani di Stellantis per Torino?
«Stellantis è soggetta alle ciniche regole della competizione internazionale. Non possiamo lamentarci che apra alle dismissioni di personale su base volontaria, ma piuttosto chiedere di creare le condizioni per creare qui lavoro e ricchezza. Io ancora non le vedo».

Come valuta l'impegno per il polo dell'elettrico?
«Sta alle istituzioni monitorare che si facciano gli interessi di territorio. Io mi aspetto che Stellantis mantenga gli impegni e, se le condizioni lo consentiranno, faccia anche di più».